Da alcuni giorni, nel quartiere "Madonna dei Greci" del Comune di Veglie, nelle strade immediatamente parallele al corso principale, gironzolano senza meta, sfiniti per gli stenti e per il caldo, alcuni tenerissimi cuccioli di gatto.
Le loro vite scorrono tra l'indifferenza degli abitanti della zona, ma a volte il loro insistente miagolio suscita in alcuni astio che sfocia in squallide e tristi azioni.
La Polizia Municipale si è dimostrata molto sensibile e sarebbe persino volenterosa di aiutare i piccoli gattini, ma non essendoci un gattile in tutto il territorio non saprebbero a chi affidare i cuccioletti.
Ad ogni modo, nella giornata di domani sarà informato anche l'Ufficio Ambiente del Comune, sperando in un loro intervento risolutivo.
Intanto, per accorciare i tempi e per cercare di salvare le vite di questi cuccioli, costretti a sfuggire alle scope, alle pantofole e alla rabbia di chi vorrebbe sopprimerli, invito gli altri lettori a compiere un atto d'amore e ad adottarli. Non abbandoniamoli al loro destino.
Chi volesse avere informazioni più precise può scrivere a: luxbo@katamail.com
Lucia Mariano
giovedì 30 luglio 2015
Gattini da salvare con un semplice atto d'amore
lunedì 13 luglio 2015
Mi vuoi dare una piccola punizione? ©

I volti sorridenti della simpatica coppia spiccano colorati negli scaffali dei market, su quaderni, zainetti e tazzine, che li ritraggono contenti; nelle piazze delle città e nelle feste patronali le loro buffe sagome oscillano nel cielo spinte dal leggero vento estivo. Masha e Orso sono presenti perfino al mare: braccioli, ciambelle, canotti li raffigurano immancabilmente.
Rai yo yo trasmette i loro episodi tutti i giorni per molte ore consecutive. Masha e Orso sono i fantastici amici di tutti i bambini, fanno loro compagnia
e li divertono intrattenendoli, quando nelle lunghe giornate estive, al rientro
dal mare, si rilassano su comode poltrone in attesa del pranzo e del sonnellino
pomeridiano.
Masha mangia volentieri le mele, ma molto spesso rifiuta il cibo;
in non pochi episodi si vede chiaramente il suo rifiuto perentorio. Al
contrario Orso è veramente una forchetta fin troppo buona, che mangia con
gusto proprio qualsiasi cosa.
È marcato il contrasto caratteriale dei due personaggi, Masha vivacissima,
lui un orso, di nome, di razza e di fatto. Gli episodi sono simpatici e le
canzoncine sono di facile apprendimento; i due sembrano proprio personaggi
apposto, ma alcune scene non mi sono piaciute. È importante stare attenti a ciò che vedono
i minori, specialmente se in tenerissima età.
Una scena che mi ha turbata fortemente è presente
nell’episodio intitolato “Attenti a Masha”, al minuto 6:34 circa. Masha prende
la motoslitta di Orso e combina tantissimi guai, semina il terrore correndo
come una furia tra gli alberi innevati; gli animali si spaventano, i lupi, il
coniglio e gli scoiattoli scappano a gambe levate per evitare di essere
travolti dalla piccola inesperta che proprio non riesce a trovare i freni. Orso
è meno fortunato rispetto agli altri animali: viene travolto dalla motoslitta
in corsa e finisce sotto un albero caduto a causa dell’impatto. Masha urla
promesse poco credibili, mentre il povero Orso è ancora stramazzato
sulla neve gelida. Una volta in casa la piccola, preoccupata e mortificata,
offre una cintura a Orso per essere punita corporalmente e rivolgendosi a lui,
con la cintura ancora in mano, gli chiede: “mi vuoi dare una piccola
punizione”? L’Orso non la picchia, ma comunque non manca di punirla mettendola
con il visino contro un muro. La piccolina Masha, triste e dispiaciuta,
dichiara: “me lo merito”.

Non mi piace il messaggio che veicola questa scena. Sono convinta
che i bambini non vadano puniti in nessun modo, meno che mai corporalmente. Non
mi piace che i bambini possano pensare o siano indotti a credere di dover
meritare qualsiasi tipo di punizione. Credo che le punizioni rendano i bambini
aggressivi. Penso che esse vadano sostituite con il dialogo e con l’esempio;
mai con le umiliazioni e ancor meno con la violenza.
Lucia Mariano
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domenica 14 giugno 2015
CONCERTO GOSPEL MUSIC - Officine Cantelmo - martedì 23 giugno - Ingresso libero
GOSPEL MUSIC Mt. Carmel Band & Anderson Family si esibiranno a Lecce in uno straordinario concerto in occasione del 60° anniversario della Chiesa di Cristo di Lecce.
L'appuntamento è fissato per martedì 23 giugno alle ore 19:00 nelle accoglienti Officine Cantelmo.
Rick & Barbara Anderson, notissimi cantanti e compositori di Gospel Music, insieme ai loro figli Hannah, Moriah e Noah, scalderanno ed emozioneranno i cuori di tutti coloro che, vorranno trascorrere una vera e indimenticabile serata Gospel nell'accogliente città barocca.
L'ingresso è completamente gratuito. Poter ascoltare, per la prima volta a Lecce, queste meravigliose voci provenienti direttamente da Cincinnati, sarà di certo una magnifica esperienza da non perdere.
info: chcr.lecce@tiscali.it
Lucia Mariano
giovedì 26 marzo 2015
Umberto TRAPI
Poche ore fa è venuto a mancare il mio caro amico Umberto Trapi, missionario in Bukina Faso dal 1971, un grande uomo di valore, un immenso esempio di umiltà e di amore per il prossimo .
Con Umberto, grazie a "CUORE AFRICA" di Corrado Salmè, ho fatto la mia prima missione umanitaria in Africa.
Riporto, senza nessun montaggio, l'intervista/racconto registrata a Lecce nel mese di settembre dell'anno passato.
E' il mio piccolo modo per salutarlo.
Ciao Umberto, "fai buon viaggio", vivrai per sempre nel mio cuore.
IN MISSIONE DAL 4 MARZO 1971
perchè proprio l'Africa
LO SPIRITO DELLA MISSIONE
com'è iniziata e di cosa s'interessa
I GIORNI IN BURKINA FASO
la missione tra difficoltà e gioie
giovedì 27 novembre 2014
Ospitando Marco De Franchi
Un regalo speciale, un lavoro che deve ancora vedere la "luce", un nuovo esperimento di Marco De Franchi, un capitolo di un romanzo in scrittura, un inedito non definitivo, in cui il testo finale potrebbe anche essere molto diverso.
“Adele”
1
Come ogni mattina, dopo la colazione e una doccia bollente, interminabile, quasi dolorosa, Adele si contemplava nel grande specchio del bagno, e lo faceva a lungo, senza pudore, indagando con attenzione ogni profilo del suo aspetto, ogni piega del suo corpo nudo, dalla radice dei capelli al delta del sesso. Non lo faceva per narcisismo né per la ragione contraria. Non cercava difetti e non si compiaceva per l’assenza di essi. La natura della sua investigazione mattutina – una specie di rito prima di uscire cui ormai non sapeva rinunciare – era di altro genere. Adele si guardava e si interrogava, ogni volta, immancabilmente, su quello che gli altri potessero pensare di lei. Chi vedessero davvero.
Adele non era particolarmente bella, ma non si poteva dire fosse brutta. Aveva la fronte alta, incorniciata da capelli biondo cenere un po’ rattristati da una pettinatura timida e una coda di cavallo sciatta. Occhi chiari, forse troppo. Sfumavano da un verde acquamarina, intorno alla pupilla, fino a un periferico grigio opaco. Il naso era dritto e pronunciato e terminava in una punta a forma di cuore. Da bambina era delizioso, adesso, a quarant’anni suonati, sembrava troppo importante a causa dei contorni del suo viso, non particolarmente marcati. La pelle chiara, poi, contribuiva a rendere del suo volto un’idea come di indefinitezza. La bocca era certamente la parte più bella. Era carnosa e il labbro superiore sporgeva leggermente rispetto a quello inferiore, tanto da renderne l’aspetto quasi irresistibile. Non l’aveva detto lei. C’era stato qualcuno, una volta. Uomini. Ma con loro, francamente, era tutto sempre troppo confuso e incerto.
La domanda che però Adele si faceva, davanti alla sua immagine, era sempre la stessa. Si vede? Si vede la mia natura? Dal colore della mia pelle, dalle venature dei miei occhi, dal contorno del mio viso. Si vede cosa c’è dietro? Si scorge chi e cosa sono realmente?
Alle sue spalle, la porta si apriva sul lungo corridoio che procedeva dritto e deserto per poi girare verso le scale che portavano al piano inferiore. La luce del primo mattino metteva in fuga le ultime ombre e i reduci chiaroscuri. La forma delle cose emergeva a fatica dalla notte trascorsa, arrampicandosi sulle scale dietro di lei.
Una testa fece improvviso capolino dietro lo stipite. La vide attraverso lo specchio. La testa si nascose. Cu-cù. Adele non vi badò. Tornò a fissare la propria immagine. I seni piccoli ma pieni. Le spalle forse un po’ troppo magre. Non voleva il giudizio degli altri. Voleva pensare di piacere. Ma non voleva si scorgesse chi fosse veramente.
Dietro di lei il corridoio continuava ad apparire vuoto. Si sentì inquieta. Chiuse gli occhi. Controllò la porta e la maniglia che aveva dentro la mente. Una grande porta scura. Una bella maniglia d’ottone lucido. Era chiusa. Sicuramente. L’aveva lasciata così, l’ultima volta che l’aveva immaginata. Non era una cosa che potesse dimenticare. Tornò ad aprire gli occhi e scrutò ancora l’ambiente alle sue spalle. Nulla. Nessun movimento.
Nessuno, infatti, avrebbe dovuto esserci alle sue spalle.
Adele Halbritter viveva da sola in una vecchia palazzina di tre piani, tra il Gianicolo e Trastevere, nella pancia stessa di quella Roma in cui palazzi e luoghi non sono mai estranei a inquietanti presenze.
2
La notò subito, non appena fuori di casa. Il sole piombava sulla via come se si fosse francamente stancato di restare inchiodato al cielo, i suoi raggi rendevano le facciate dei palazzi specchi incandescenti. La vecchia si riparava nell’esile rettifilo d’ombra che correva lungo palazzo Corsini, proprio di fronte a casa sua. Evidentemente la luce le dava fastidio. Si copriva in parte il volto raggrinzito con un foulard nero che doveva avere per lo meno cent’anni. E non c’era dubbio che stesse guardando nella sua direzione. Adele finse di non averla vista, si assicurò che il portone di casa fosse serrato, e imboccò con decisione via della Lungara in direzione della porta Settimiana. Il tragitto in programma era lo stesso di ogni giorno. Non c’era senso a cambiare. Prima si sarebbe fermata all’antica chiesetta di Santa Dorotea, dove avrebbe sostato non più di dieci minuti, il tempo di un Padrenostro, più per abitudine che per sincera devozione. Non avrebbe mancato di passare, poi, sotto la finestra della Fornaretta, dove Adele avrebbe speso un pensiero magico, come sempre. Dicevano che là avesse abitato tale Margherita Luti, mitica amante del Raffaello quando questi dipingeva i suoi affreschi nei palazzi romani. Adele non sapeva quanto quella storia fosse autentica, ma le piaceva pensare di vivere a cento metri dal luogo dove il grande pittore del ‘500 aveva amoreggiato con quell’illustre sconosciuta. Quindi, rianimato lo spirito prima ancora della carne – che fosse spirito sacro o profano poco le importava - si sarebbe finalmente immersa nel rassicurante caos di Trastevere, dove si sarebbe fermata alle botteghe che conosceva per fare un po’ di spesa. Il programma di una bella camminata che le avrebbe preso la maggior parte della mattinata.
Perse quasi subito di vista la vecchia che la seguiva. Anche se la intravide di nuovo arrivata a Piazza Trilussa, lambita dal traffico del Lungotevere che scorreva impazzito, come al solito. In parte nascosta da un gruppo di turisti colorati e in infradito, la vecchia le sembrò in difficoltà di fronte al flusso caotico delle auto, dei bus e dei milioni di scooter che sciamavano irrequieti fra le une e gli altri, e Adele sorrise intimamente soddisfatta. A lei invece non dispiaceva quel caos di macchine. Le sembrava rappresentasse bene il sangue che percorre le vene di una metropoli, troppo antica in realtà, e la sostiene perché altrimenti della propria vetustà quella città sarebbe morta già da tempo.
Rivide ancora la vecchia, comunque, al suo ritorno – l’aveva evidentemente seguita passo passo lungo la stretta via Benedetta, tra gelaterie e rosticcerie e piccole botteghe di cianfrusaglie - e cominciò a chiedersi seriamente cosa volesse da lei. Solo allora notò gli occhi rotondi e scurissimi e il modo in cui camminava. A scatti, con piccoli passi meccanici, come se avesse dimenticato il modo in cui ci si muove. Non sembrava malata. Solo vecchia, anzi vecchissima. Si chiese se la conoscesse. Ma le pareva di non averla mai vista prima.
La ignorò con ostentazione e si avvicinò, come faceva sempre prima di rientrare, al grande portone dell’edificio che troneggiava proprio di fronte alla sua casa. Il Palazzo Corsini.
Adele sapeva che era uno degli edifici più importanti e belli di Roma. Aveva letto che in passato vi aveva abitato la regina Cristina di Svezia, e aveva ospitato l’Accademia dell’Arcadia, il quale nome le evocava tempi e personaggi che dovevano essere stati a dir poco meravigliosi. Adesso era occupato dalla Galleria Nazionale d’Arte Antica, in una sua parte, e nel corpo centrale dall’Accademia dei Lincei che era un luogo in cui, pareva, uomini di genio studiavano e creavano arte. Imponente e bellissimo, l’edificio era composto da tre piani e si sviluppava per un lungo tratto della Lungara, proprio dirimpetto al Lungotevere e, naturalmente, al fiume stesso. I timpani delicati e le cornici delle moltissime finestre gli conferivano un aspetto poderoso. L’ingresso, tripartito, era sormontato da un balcone su cui s’affacciavano tre grandi vetrate. Dalle balaustre in ferro battuto sporgevano bandiere esauste ma sempre accuratamente infiocchettate. Dei tre portali, uno solo era aperto e da lì si accedeva all’interno del palazzo oltre che a uno splendido giardino che Adele aveva solo intravisto.
Era confine, spalancato ma sorvegliato, che l’attirava ogni volta, quando tornava verso casa. E più che il portone, l’attraeva l’uomo che si occupava dell’ingresso.
Antonio anche oggi, come sempre, sostava all’ombra del balcone di pietra, sotto il capitello centrale. Apparentemente distratto, le sembrò in realtà in attesa del suo rientro. Falsamente impegnato in qualche misteriosa e poco appariscente occupazione. Adele si sentì fremere.
Dall’altro lato della strada, proprio accanto alla porta di casa sua, trafitta da quell’intenso sole d’ottobre, la vecchia pareva anch’essa in attesa di qualcosa. O di qualcuno. Adele le lanciò a malapena un’occhiata ricevendo, in cambio, un sorriso sdentato. Antonio si mise tra lei e la strana donna, dando le spalle a questa
- Adele, amore mio, cosa abbiamo, oggi? – Adele arrossì. Sapeva che Antonio offriva quell’appellativo, “amore”, a metà delle ragazze del quartiere, ma non poteva fare a meno di sentirsi felice quando la chiamava così.
- Oh, le solite cose, - si schermì lei, avvicinandosi il più possibile senza apparire sfrontata.
L’uomo indossava una specie di divisa da portiere. Pantaloni attillati, grigi. E una camicia chiara con le maniche arrotolate sui polsi. Uno stemma indecifrabile sul taschino, a sinistra del suo cuore.
- Frutta di stagione? – le domandò.
- Frutta di stagione. Certo. Uva zuccherina. Mi hanno detto che è dolce come se c’avessero versato sopra del miele. Sarà poi vero?
Antonio ammiccò. Inclinò la testa di lato, come se si fosse messo in ascolto.
- Mica mi fido, Antonio, - continuò lei. – Non sono nata ieri. Ma mi sembrava un’uva talmente bella. Vuole vedere?
Aprì la sporta sotto il braccio magro. Acini gonfi di polpa spuntarono dal cartoccio che li avvolgeva. A vederlo, sembra un gran bel grappolo. Antonio allungò la testa, lo sguardo esperto che vagliava la spesa di Adele. Anche la vecchia, dall’altra parte, dietro le spalle di lui, allungò il collo. Aveva un sorriso sghembo. Fili di rame tra i capelli grigi. Adesso che la vedeva da vicino, Adele si accorse che sapeva di sporco, di unto. Di cose infilate ad ammuffire in un sottotetto.
- Sembra buona – sentenziò il portiere di Palazzo Corsini. – Ma non si sa mai.
- Vincenzo, il fruttivendolo, pare un buon diavolo. In genere mi serve bene.
- Vincenzo di Vicolo della Renella?
- Quello. Vado solo da lui.
- Poveraccio, tutto il giorno con quei bengalesi tra le palle! Gli fanno concorrenza, sa? Comunque di lui si può fidare. Sembra un grappolo bello maturo.
- Me lo ha giurato. Dolce e zuccherina.
“Zuccherina”, sembrò ripetere la vecchia, alle spalle di Antonio. Le labbra di cartapesta inciampano in quella parola. La assaporano. E gli occhi le diventano bianchi. Accecanti. Forse il ricordo dello zucchero le risvegliava nostalgie insopportabili. Adele avrebbe voluto scacciarla ma non era possibile. Non adesso, con Antonio che la guardava.
Il sorriso della vecchia marcì.
Antonio assaggiò un acino e fu sopraffatto dal sapore.
- E’ buono!
Adele lo guardò, all’improvviso incredula. Non ricordava di avergli offerto la sua uva. Nessuno gli aveva dato il permesso di razzolare nella sua spesa. Restò però incantata a osservare le labbra dell’uomo che si muovevano, inumidite dal succo della frutta, mentre mangiava. Quella vista le rovesciò improvvisamente lo stomaco. Le esplose un’immagine nella testa. La faccia di Antonio, tra le sue gambe aperte e nude. Antonio che si solleva, le sorride, ammiccante come sempre, e poi affonda di nuovo sulla sua vagina. Antonio che succhia, morde, lecca e ingoia. E poi Antonio che solleva un’altra volta la testa e la guarda, la bocca impiastrata di rosso. Del rosso del suo sangue mestruale.
Adele si scostò d’istinto. Non avrebbe più mangiato quell’uva. Anzi, l’avrebbe buttata subito. Non sarebbe neanche salita in casa prima di aver buttato quel cartoccio di acini rossi e corrotti nel primo cassonetto disponibile lungo la strada.
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domenica 2 novembre 2014
Intervista ad Ippolito Chiarello
Intervista ad Ippolito Chiarello
di Lucia Mariano
- Ippolito Chiarello, ha abituato il suo pubblico ad ammirarla nella grande plasticità e poliedricità nel ricoprire perfettamente più ruoli differenti, - attore, regista, formatore di talenti, non poco attento anche nei confronti dei disagi sociali – facendo propri oltre agli interessi cinematografici, anche quelli teatrali e musicali. Nasce nel cuore del sud, a Corsano, e nonostante i suoi lavori vadano anche ben oltre i confini nazionali, ha sempre custodito e tutelato un forte legame con l’amato Salento. Di certo questa scelta, in un contesto sociale e geografico in cui le “fughe dei talenti” siano considerate l’ordinarietà, rappresenta, uno straordinario atto di coraggio. Ad oggi, dovendo redigere un suo personale bilancio su Ippolito Chiarello, Artista, quale risultato otterrebbe, cosa leggerebbe nell’attivo e cosa nel passivo?
di Lucia Mariano
- Ippolito Chiarello, ha abituato il suo pubblico ad ammirarla nella grande plasticità e poliedricità nel ricoprire perfettamente più ruoli differenti, - attore, regista, formatore di talenti, non poco attento anche nei confronti dei disagi sociali – facendo propri oltre agli interessi cinematografici, anche quelli teatrali e musicali. Nasce nel cuore del sud, a Corsano, e nonostante i suoi lavori vadano anche ben oltre i confini nazionali, ha sempre custodito e tutelato un forte legame con l’amato Salento. Di certo questa scelta, in un contesto sociale e geografico in cui le “fughe dei talenti” siano considerate l’ordinarietà, rappresenta, uno straordinario atto di coraggio. Ad oggi, dovendo redigere un suo personale bilancio su Ippolito Chiarello, Artista, quale risultato otterrebbe, cosa leggerebbe nell’attivo e cosa nel passivo?
- Quando si stila un bilancio significa che siamo alla fine della storia,
oppure, come penso io, i bilanci devono essere sempre fatti per capire cosa
abbiamo fatto, gli errori, i punti di forza e quindi ripartire e magari
cambiare strada totalmente. Nel mio percorso penso che tutto quello che ho
fatto ha avuto senso, nel bene e nel male. Ho imparato molto e l’esperienza
accumulata come uomo e come artista mi gratifica molto e sento di essere in
ascolto per poter sempre imparare qualcosa. All’attivo ho una grande gioia, la
possibilità di fare un lavoro che mi entusiasma e che mi fa vivere ogni giorno
sempre con nuovi stimoli, nuovi incontri, nuove cose da fare. Non vivo il
dramma della ripetizione. In passivo forse posso annoverare una vita privata
“privata” di tutto quello che è la normalità. Ma non so se è un male questo.
- Ha lavorato con “Nasca Teatri di Terra”, un nuovo laboratorio artistico, un
libero spazio aperto, che s'ispira in linea di principio al concetto di attore
“ecosostenibile” e di ricerca culturale intesa nel senso più puro e profondo
del termine; prima ancora con “Compagnia Koreja” di Lecce; ha inoltre creato un
nuovo genere di arte, caratterizzata da un legame intenso e diretto tra
l’artista e il pubblico; mi riferisco al suo “Barbonaggio Teatrale”, da cosa è stato caratterizzato il suo
percorso di ricerca, quali sono le tensioni verso cui è incline?
- La mia ossessione e
missione di artista e per la quale sono ormai noto alle cronache nazionali è il
mio lavoro per creare un rapporto sentimentale con il pubblico dell’arte e del
teatro in particolare.
Sono anni che cammino
su strade parallele. Lo faccio non solo perché credo che tutto il sistema
teatrale e dell'arte non abbia "visioni", ma perché credo che ogni
epoca debba essere indagata e capita e quindi affrontata con nuovi mezzi e
nuove modalità, non perdendo mai di vista il centro: l'edificio teatro e i
luoghi deputati alle varie arti.
Lo faccio perché non
credo che le soluzioni debbano essere lasciate solo nelle mani delle
istituzioni.
Lo faccio perché sono
convinto che manchi un anello fondamentale e fondante dell'arte: il pensiero
sulla gente che diventa pubblico attivo di un processo e quindi finanziatore
morale e materiale del mio lavoro.
In questi anni con la
mia casa aperta dal 2006 diventata cinema e teatro, le residenze nei paesi
sperduti e il BARBONAGGIO che è diventato movimento artistico concreto, ho
costruito e continuo a costruire una garanzia e un motivo per il mio lavoro: un
pubblico fedele che segue il mio percorso e, letteralmente, mi aiuta e finanzia
la mia/sua ricerca in ambito artistico.
La strada, le case, i
distributori, i supermercati, i pub, le librerie sono luoghi da frequentare
come trincee per arrivare alle prime linee. Sono luoghi dove esercitare il
nostro mestiere corpo a corpo per vincere una guerra e entrare tutti insieme
nella città conquistata.
Sono luoghi dove
allenare la gente a un linguaggio, dove portare altra gente a conoscere una
pratica.
Il teatro però si deve
fare a teatro ed è per questo che si deve sempre di più farlo anche fuori dal
teatro.
- Dall’esperienza con
Dario Fò a “Fanculo Pensiero Stanza 510” in ginocchio sul palco dei Negramaro
per "Casa 69 Tour”, cosa c’è nel mezzo?
- Ci sono incontri, laboratori con centinaia di ragazzi e ragazze, il teatro
a scuola. Ci sono le relazioni e l’impegno quotidiano onesto e profondo nel
sociale, nelle carceri, nei luoghi del disagio. C’è lo studio e l’impegno con
questo luogo importante che è anche la mia casa artistica l’AMMIRATO CULTURE
HOUSE. Un luogo sostenuto dalla fondazione canadese MUSAGETES e che mette
insieme una grande idea di lavoro in comune e di pratiche comuni. L’arte che
agisce sulle trasformazioni delle comunità. Partire dal quartiere per arrivare
al mondo. C’è una casa che è il mio nido e una terra, il Salento, una città
Lecce che amo follemente e che mi proteggono ogni giorno.
- “L’amor perduto” è stato il tema di ricerca di “Ti racconto a Capo 2014” di cui lei è
il direttore artistico; progetto che ancora una volta vede tra i protagonisti
il meraviglio sud, i suoi abitanti, i giovani artisti italiani e stranieri
desiderosi di vivere una nuova esperienza culturale e formativa; mi chiedo se, alla fine della residenza
estiva, “l’amor perduto” sia stato finalmente ritrovato.
- E’ un ‘esperienza ogni anno entusiasmante, profonda, gioiosa, di lavoro
duro e consapevole. 16 artisti che ormai vengono da tutte le parti del mondo
per conoscere il mio lavoro. Un paese, Corsano, nel profondo sud, che partecipa
ed è strumento del percorso artistico che ormai è arrivato alla quinta
edizione. Un tema su cui confrontarsi. Quest’anno siamo stati travolti
dall’AMOR PERDUTO. E’ stato un percorso che ha provato i nostri sentimenti e
che ci ha messo finalmente davanti alla possibilità di ritornare ad usare le
parole per dichiarare tutto ciò che ormai è diventato alibi virtuale. Io dico
che l’abbiamo trovato. Ritrovato. Anche grazie all’aiuto dei racconti del
corteggiamento antico, dei nostri nonni, che scrivevano lunghe e reiterate
lettere alle proprie amate o amati. Una lezione di semplicità da cui ci siamo a
fatica separati. L’anno prossimo il tema sarà IL VIAGGIO. Vi aspettiamo.
- In campo cinematografico, la sua principale attività è di interprete, basti pensare a “Fine pena mai”, “… a Levante”, e “Il venditore di medicine”; pochi mesi fa, so che ha ricoperto il ruolo di Sindaco in “Latin Lover” un film girato in Puglia da Cristina Comencini, e che presto vedremo nelle sale italiane, ci parli di questo nuovo lavoro, ci dia qualche anticipazione.
- Nel cinema ormai ci passo un po’ di tempo e mi diverte molto. Si,
quest’anno, oltre ad essere nelle sale con IL VENDITORE DI MEDICINE, LA SANTA,
e CONTRORA con cui ho partecipato al Festival del cinema di Roma 2013, ho
girato il film della Comencini LATIN LOVER con un cast stellare: VIRNA LISI,
MARISA PAREDES, TONI BERTORELLI, NERI MARCORE’, ANGELA FINOCCHIARO, VALERIA
BRUNI TEDESCHI, che dovrebbe uscire a febbraio 2015. In questo film ho interpretato
il ruolo del sindaco di questo paese del sud che organizza per i dieci anni
della morte di un concittadino attore famoso, una commemorazione con tanto di
targa da scoprire davanti alla popolazione. Oltre a questo mi piace segnalare
anche il mio film, che ho scritto insieme a Matteo Greco, che ne è anche il
regista e che è una lettura poetica del mio progetto del Barbonaggio Teatrale.
Il film si intitola OGNI VOLTA CHE PARLO CON ME ed è prodotto, oltre che da me,
Matteo Greco e Kama, principalmente dal pubblico della strada e con il sostegno
della Puglia Film Commission e della rete pugliese dei Teatri Abitati. Il film,
che è stato girato in Italia e nelle principali capitali e città europee
(CANNES, BARCELLONA, MADRID, PARIGI, LONDRA, BERLINO), lo potrete vedere presto
anche a Lecce e che distribuiremo e faremo girare in tutto il territorio
nazionale e all’estero.
- Nel suo prossimo
futuro cosa ci sarà, quali saranno i nuovi progetti?
- Il futuro è ricco di appuntamenti. A settembre ho debuttato al festival
Start Up di Taranto con il mio nuovo spettacolo “PSYCHO KILLER quanto mi dai se
ti uccido?”, con la regia di Michelangelo Campanale, che mi vede attore in
scena accompagnato al sax dall’amico e ormai grande artista internazionale
Raffaele Casarano e dall’altrettanto bravo Marco Bardoscia o Stefano Rielli al
contrabbasso. Lo potrete vedere a Lecce ai Cantieri Teatrali Koreja il 10
gennaio 2015. Sono attualmente in prova nella nuova produzione della compagnia
Factory LA BISBETICA DOMATA, in anteprima a Mesagne il 14 novembre e in prima
nazionale a Lecce a Marzo 2015. Comincerà a novembre le prove per un Eduardo De
Filippo, L’ABITO NUOVO con Marco Manchisi e la compagnia La luna nel letto, che
debutterà a Bari a novembre 2015. Oltre questo naturalmente c’è la scuola di
teatro dell’Ammirato, un progetto sul teatro dialettale in via Leuca a Lecce
APE STORY, il progetto LAVORATRICI con la consigliera di parità della Provincia
di Lecce Alessia Ferrei, che indaga con il teatro le problematiche femminili e
i soprusi e la violenza nei luoghi di lavoro. E poi le tournée degli spettacoli
che partirà da fine novembre e finirà a maggio. Oltre agli spettacoli già
citati girerò ancora con Il Barbonaggio e il Film collegato, lo spettacolo
FANCULOPENSIERO STANZA 510, Oggi Sposi e il Romeo e Giulietta sempre della
Compagnia Factory che è giunto al terzo anno di repliche.
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lunedì 29 settembre 2014
Intervista al Dott. Ciro Federico Troiano
di Lucia Mariano
- Dottor Troiano, lei è considerato da molti come il precursore circa l’utilizzo e l’applicazione degli strumenti di interesse scientifico volti a studiare ed a prevenire, attraverso l’impiego di tecniche di contrasto i “nuovi volti del crimine”; è stato colui che ha dato vita ad una serie di termini e di concetti nuovi, ad esempio “la zoocriminalità minorile”, citata per la prima volta nel 1999 in un suo volume; ed ha inoltre coniato il termine “Zoomafia”, quasi ripercorrendo le orme del pretore di Ravanusa, che nella “Relazione Damiani” del 1884, fa riferimento ad un “terzo tipo di mafia”. Ci spieghi cosa viene inteso con il neologismo “Zoomafia”?
- La Relazione Damiani esaminava la situazione post
unitaria delle classi agricole in Sicilia analizzando anche i soprusi che
subivano i contadini e braccianti dai proprietari terrieri e dai campieri. La
locuzione “Terzo tipo di mafia” faceva riferimento a unioni di persone non ben
definite che si accordavano per realizzare profitti e interessi vari illegali. Ovviamente
non c’è nessun rapporto o legame diretto con la zoomafia, però il concetto è lo
stesso. Per zoomafia si intende lo sfruttamento degli animali per ragioni
economiche, di controllo sociale e di dominio territoriale. Si tratta di uno sfruttamento
criminale, ovvero perpetrato da persone singole o associate o appartenenti a
cosche mafiose o a clan camorristici. Con questo neologismo, però -e qui vi può
essere un legame con il concetto di “Terza mafia”-, indichiamo anche la nascita
e lo sviluppo di un mondo delinquenziale
diverso, ma parallelo e contiguo a quello mafioso, di una nuova forma di
criminalità, che pur gravitando nell’universo malavitoso e sviluppandosi dallo
stesso humus socio-culturale, trova come motivo di nascita, aggregazione e crescita, l’uso di animali per attività
economico-criminali.
- E’ sempre stato
attivo non solo intellettualmente, ma anche in prima persona, lottando contro
qualsiasi forma di sfruttamento criminale degli animali, e ha conferito una
serie di premi, di riconoscimenti e menzioni importanti , “Miglior azione di
conservazione”, “I cento Eroi mondiali dell’Ambiente”, “Premio San Francesco
Città di Genova”, "Premio Agorà". Nel 1999 con la LAV, Lega Anti
Vivisezione, ha fondato l’Osservatorio Nazionale Zoomafia di cui è
responsabile; di cosa si interessa
il suo Osservatorio?
- L’Osservatorio Nazionale Zoomafia è una struttura che
rientra fra i sistemi di controllo informale della criminalità, finalizzata
all’analisi criminologica –anche sotto il profilo economico-finanziario- dello
sfruttamento degli animali da parte di organizzazioni criminali, gruppi
organizzati o persone in concorso tra loro. Ci occupiamo delle varie forme di
“maltrattamento organizzato”. Alcune tipologie di maltrattamento, infatti, sono
intrinsecamente, ontologicamente consociative e trovano la loro consumazione
solo sotto forma di evento programmato e organizzato. Esse richiedono la
formazione preliminare dell’associazione senza la quale l’evento-maltrattamento
non si può realizzare. Sotto questo aspetto, il sodalizio diventa il
presupposto necessario per concretare il maltrattamento. Si pensi ai
combattimenti tra animali, alle corse clandestine di cavalli, all’abigeato e
traffico di fauna ecc. Nella nostra analisi rientrano anche fenomeni criminali
come la zoocriminalità minorile, ovvero il coinvolgimento di bambini e
minorenni in attività illegali che coinvolgono gli animali, e le violenze agite
da minorenni nei riguardi di animali. Abbiamo da poco, ad esempio, concluso la
somministrazione di un questionario a un campione di oltre 1000 ragazzi sulla
violenza contro gli animali assistita o agita da preadolescenti e adolescenti
nei riguardi di animali. I dati li stiamo esaminano e ci aiuteranno a capire un
fenomeno ancora poco esplorato e a proporre profili di politica criminale. Ci
interessiamo anche del fenomeno delle sette e delle forme di maltrattamento
animali che comportano; della violenza di genere che vede svariati
maltrattamenti ai danni degli animali della vittima umana che sono veri e
propri eventi sentinella e prodromici di una violenza sempre crescente; della
zooerastia e dello sfruttamento sessuale degli animali.
L’Osservatorio collabora con tutti gli organi di Polizia
Giudiziaria e con la Magistratura. Sovente siamo chiamati a tenere corsi e
lezioni nelle varie scuole delle forze di polizia.
- Ha insegnato,
“tecniche di contrasto alla zoomafia” e “criminologia dei diritti animali”
presso le scuole della Polizia, dei Carabinieri e della Forestale, redigendo
numerosi saggi e articoli a riguardo. Nel suo libro, “Zoomafia - Mafia, Camorra
& gli altri animali”, (Edizioni Cosmopolis), viene data al lettore la
concreta possibilità di rendersi conto in maniera tangibile, di quanto sia ampio,
importante e pericoloso il fenomeno criminale zoomafioso in Italia. In alcune
pagine del suo libro, racconta delle non poche minacce e delle ripetute
violenze ai danni della sua persona, subite a causa del suo lavoro; in una di
queste si legge una domanda da parte di un certo “P. V.”, che oltre a
minacciarlo di morte, si rivolge a lei dicendo: “Per una bustina di roba bianca
qualcuno ti spara e ti uccide, cosa hai guadagnato tu? Senti allora, togliti di
mezzo, stai a casa, fai il bravo”. Conviene con me, Dott. Troiano, che anche
solo la legge 189/04, fortemente voluta da voi della LAV, potrebbe essere ad
oggi, nell’elenco delle tante risposte da dare al “P.V.”? Quali importanti modifiche vengono apportate al Codice
Penale grazie a questa legge?
- Sicuramente la 189/04 ha rappresentato una svolta
importante nella tutela penale degli altri animali nel nostro Paese. Molti
obiettivi e risultati investigativi sarebbero stati impensabili senza questa
legge. Ovviamente è venuto il momento di perfezionarla, di apportare delle
modifiche migliorative, di renderne l’applicazione più efficace. Per spiegare
la portata innovativa rappresentata dalla 189/04 è opportuno ricordare la
normativa previgente. Può sembrare strano, ma nel nostro sistema giuridico fino
a dieci anni fa, ovvero al 2004 anno in cui è entrata in vigore la nuova
normativa contro il maltrattamento, non esisteva alcuna norma, né sotto forma
di precetto né di sanzione, che vietasse esplicitamente i combattimenti tra
animali o le corse clandestine di cavalli. Se per le lotte tra animali vi era
lo “spauracchio” giuridico della sanzione penale prevista per il maltrattamento
degli animali, per le corse clandestine non vi era neanche quello: solo in caso
di reale danno ai cavalli era ipotizzabile il maltrattamento. Non solo, anche
laddove sussistevano i presupposti, le persone denunciate andavano incontro a
un’impunità quasi certa, perché il reato previsto – l’articolo 727 del codice
penale – era di natura contravvenzionale e poteva essere estinto con
un’oblazione, si prescriveva al massimo in tre anni da quando era stato
compiuto, non era configurabile la fattispecie penale dell’associazione per
delinquere e non poteva essere punito a titolo di tentativo. Inoltre la pena
era di massimo 10 milioni di vecchie lire. Solo ammenda, neanche arresto. La
legge 189/04, anche se in fase di approvazione è stata depotenziata rispetto
alla sua stesura originaria e per questo riteniamo sia da perfezionare in
alcuni aspetti, con la sua portata innovativa ha rivoluzionato l’approccio
giuridico al problema, istituendo il delitto di “organizzazione di
combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali”. La nuova normativa,
infatti, configurando la fattispecie “divieto di combattimenti fra animali”
come delittuosa anziché come contravvenzionale, prevedendo la reclusione da uno
a tre anni oltre la multa che può arrivare fino a 160.000 euro, disciplinando
aumenti di pena in casi, ad esempio, di concorso di minori o di utilizzo di
videoriproduzioni, punendo anche chi, fuori dal concorso nel reato, alleva,
addestra o è proprietario di cani destinati alle lotte e ovviamente sanzionando
chi effettua o organizza scommesse, ha posto le basi per una nuova azione di
contrasto, più determinata ed efficace.
- Dottore, con il suo
“Rapporto Zoomafia” pubblicato annualmente, è possibile tracciare sia
territorialmente, sia temporalmente le funzioni ricoperte dagli animali nel
sistema mafioso e le varie evoluzioni dei fenomeni riguardanti il nuovo volto
del crimine. Cosa si evince,
analizzando il “Rapporto Zoomafia 2014”?
- Il nuovo Rapporto Zoomafia conferma la condotta
trasformista e “infiltrante” delle organizzazioni criminali dedite ai traffici
zoomafiosi capaci di trovare e inventarsi sempre nuovi canali di malaffare.
Illegalità, malaffare, violenza: tutto a danno degli animali. I traffici legati
allo sfruttamento degli animali rappresentano un’importante fonte di guadagno
per i vari gruppi criminali che manifestano una spiccata capacità di trarre
vantaggio da qualsiasi trasformazione del territorio e di guadagnare il massimo
rischiando poco. La vendita illegale di uccelli è sicuramente meno rischiosa di
altre attività illegali e garantisce guadagni di tutto rispetto. A livello
internazionale, la criminalità organizzata dedita ai vari traffici a danno
degli animali si distingue per la sua capacità di agire su scala
internazionale, per il suo orientamento al business, per la capacità di
massimizzare il profitto riducendo il rischio. Sono il simbolo, al pari delle
altre mafie, della società globalizzata.
Il traffico di cuccioli rappresenta la prima emergenza
zoomafiosa seguita dalle corse clandestine. Di contro, però, diminuiscono le
azioni di contrasto alle corse clandestine di cavalli. Vi è ripresa virulenta
dei combattimenti tra cani. Aumentano i traffici di animali rari e
protetti. “Cupola del bestiame”,
macellazione clandestina, sofisticazioni alimentari restano pericoli costanti e
vi è un allarme pesca illegale. Ancora, zoocriminalità minorile e diffusione
web dei traffici di animali. Insomma, è un lungo catalogo di violenze
organizzate, spesso sistematiche e seriali, che mietono migliaia di animali
ogni anno, quello analizzato nel Rapporto Zoomafia 2014. Basti pensare che ogni
ora nel nostro Paese si apre un procedimento penale per reati contro gli animali.
- Lei ha più volte
detto, riferendosi al traffico illegale di cuccioli, “gli animali sono nostri
amici, ed io non compro i miei amici”; oggi sempre più frequentemente molti
voti noti, anche negli ambienti scientifici, sono inclini a riconoscere la cancerogenicità
della carne intesa come alimento, primo tra tutti l’oncologo Veronesi, è
possibile estendere la sua massima in questo modo, “gli animali sono nostri
amici, ed io non compro e non mangio i miei amici”? Cosa si può fare per sensibilizzare maggiormente la
gente, così che possa compiere una scelta alimentare di tipo etico e salutista?
- In realtà lo slogan originario è proprio “gli animali
sono miei amici e io non mangio i miei amici”. La questione alimentare è una
questione etica, si sa. Attraverso le proprie scelte si può salvare la vita di
altri esseri viventi e contribuire al rispetto dell’ambiente, alla salvaguardia
dei delicatissimi equilibri naturali e alla difesa di un’economia solidale.
Sempre di più, però, la questione alimentare diventa anche un problema di
sicurezza. In questa prospettiva etica e sicurezza si incrociano e diventano
valori imprescindibili. Ogni sofisticazione alimentare di prodotti di origine
animale che implica manipolazione alla natura biologica degli animali è
un’offesa al loro benessere. Anche i “prodotti” adulterati di origine animale
che non richiedono la loro uccisione, provengono da lunghe e silenziose
sofferenze alle quali si aggiungono le adulterazioni. Le sofisticazioni si innestano
in un sistema in cui la vita animale e quella umana hanno scarso valore: chi è
disposto ad avvelenare le persone con “cibo” adulterato, non si preoccupa
certamente della vita degli altri animali… Ovviamente non possiamo che
consigliare di orientarsi verso un’alimentazione sana, anche sotto il profilo
etico, e non cruenta.
- Prima della
conclusione, di questa nostra, vorrei parlare delle sue passioni, la legalità,
lo studio della filosofia e dell’antropologia criminale, l’amore per gli
animali, e per i bambini. So che ha tenuto una serie di corsi nelle varie
scuole del Paese, per sensibilizzare le nuove generazioni alla legalità. So
anche che il suo amore verso i bambini va al di là del territorio nazionale
stesso, con soventi viaggi verso il continente africano, anche al fine di far
pervenire personalmente “aiuti umanitari” e cancelleria nelle scuole dei
villaggi tanzaniani. Nel ringraziarla
per la disponibilità e la cortesia dimostratami concedendomi quest’intervista,
le chiedo un ultimo racconto; questa volta però non riguardante il lavoro, ma
la sua vita privata, le sue vacanze, il tempo libero che dedica sempre e
comunque alla solidarietà; le chiedo uno dei ricordi più belli a proposito dei
suoi viaggi nella tanto cara e tanto amata Africa.
- Sono una persona riservata e schiva
nel parlare della mia vita privata e personale. I ricordi sono tanti, ma penso sempre a uno sguardo di un
bambino. C’era l’infinito in quegli occhi, lo stesso del mio silenzio: io muto mentre cercavo la strada per le mie parole, come
viandante smarrito, straniero in me stesso.
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