lunedì 29 settembre 2014

Intervista al Dott. Ciro Federico Troiano
di Lucia Mariano





 - Dottor Troiano, lei è considerato da molti come il precursore circa l’utilizzo e l’applicazione degli strumenti di interesse scientifico volti a studiare ed a prevenire, attraverso l’impiego di tecniche di contrasto i “nuovi volti del crimine”; è stato colui che ha dato vita ad una serie di termini e di concetti nuovi, ad esempio “la zoocriminalità minorile”, citata per la prima volta  nel 1999 in un suo volume; ed ha inoltre coniato il termine “Zoomafia”, quasi ripercorrendo le orme del pretore di Ravanusa, che nella “Relazione Damiani” del 1884, fa riferimento ad un “terzo tipo di mafia”. Ci spieghi cosa viene inteso con il neologismo “Zoomafia”?
 - La Relazione Damiani esaminava la situazione post unitaria delle classi agricole in Sicilia analizzando anche i soprusi che subivano i contadini e braccianti dai proprietari terrieri e dai campieri. La locuzione “Terzo tipo di mafia” faceva riferimento a unioni di persone non ben definite che si accordavano per realizzare profitti e interessi vari illegali. Ovviamente non c’è nessun rapporto o legame diretto con la zoomafia, però il concetto è lo stesso. Per zoomafia si intende lo sfruttamento degli animali per ragioni economiche, di controllo sociale e di dominio territoriale. Si tratta di uno sfruttamento criminale, ovvero perpetrato da persone singole o associate o appartenenti a cosche mafiose o a clan camorristici. Con questo neologismo, però -e qui vi può essere un legame con il concetto di “Terza mafia”-, indichiamo anche la nascita e lo sviluppo  di un mondo delinquenziale diverso, ma parallelo e contiguo a quello mafioso, di una nuova forma di criminalità, che pur gravitando nell’universo malavitoso e sviluppandosi dallo stesso humus socio-culturale, trova come motivo di nascita, aggregazione  e crescita, l’uso di animali per attività economico-criminali.  

- E’ sempre stato attivo non solo intellettualmente, ma anche in prima persona, lottando contro qualsiasi forma di sfruttamento criminale degli animali, e ha conferito una serie di premi, di riconoscimenti e menzioni importanti , “Miglior azione di conservazione”, “I cento Eroi mondiali dell’Ambiente”, “Premio San Francesco Città di Genova”, "Premio Agorà". Nel 1999 con la LAV, Lega Anti Vivisezione, ha fondato l’Osservatorio Nazionale Zoomafia di cui è responsabile; di cosa si interessa il suo Osservatorio?
- L’Osservatorio Nazionale Zoomafia è una struttura che rientra fra i sistemi di controllo informale della criminalità, finalizzata all’analisi criminologica –anche sotto il profilo economico-finanziario- dello sfruttamento degli animali da parte di organizzazioni criminali, gruppi organizzati o persone in concorso tra loro. Ci occupiamo delle varie forme di “maltrattamento organizzato”. Alcune tipologie di maltrattamento, infatti, sono intrinsecamente, ontologicamente consociative e trovano la loro consumazione solo sotto forma di evento programmato e organizzato. Esse richiedono la formazione preliminare dell’associazione senza la quale l’evento-maltrattamento non si può realizzare. Sotto questo aspetto, il sodalizio diventa il presupposto necessario per concretare il maltrattamento. Si pensi ai combattimenti tra animali, alle corse clandestine di cavalli, all’abigeato e traffico di fauna ecc. Nella nostra analisi rientrano anche fenomeni criminali come la zoocriminalità minorile, ovvero il coinvolgimento di bambini e minorenni in attività illegali che coinvolgono gli animali, e le violenze agite da minorenni nei riguardi di animali. Abbiamo da poco, ad esempio, concluso la somministrazione di un questionario a un campione di oltre 1000 ragazzi sulla violenza contro gli animali assistita o agita da preadolescenti e adolescenti nei riguardi di animali. I dati li stiamo esaminano e ci aiuteranno a capire un fenomeno ancora poco esplorato e a proporre profili di politica criminale. Ci interessiamo anche del fenomeno delle sette e delle forme di maltrattamento animali che comportano; della violenza di genere che vede svariati maltrattamenti ai danni degli animali della vittima umana che sono veri e propri eventi sentinella e prodromici di una violenza sempre crescente; della zooerastia e dello sfruttamento sessuale degli animali.
L’Osservatorio collabora con tutti gli organi di Polizia Giudiziaria e con la Magistratura. Sovente siamo chiamati a tenere corsi e lezioni nelle varie scuole delle forze di polizia.

- Ha insegnato, “tecniche di contrasto alla zoomafia” e “criminologia dei diritti animali” presso le scuole della Polizia, dei Carabinieri e della Forestale, redigendo numerosi saggi e articoli a riguardo. Nel suo libro, “Zoomafia - Mafia, Camorra & gli altri animali”, (Edizioni Cosmopolis), viene data al lettore la concreta possibilità di rendersi conto in maniera tangibile, di quanto sia ampio, importante e pericoloso il fenomeno criminale zoomafioso in Italia. In alcune pagine del suo libro, racconta delle non poche minacce e delle ripetute violenze ai danni della sua persona, subite a causa del suo lavoro; in una di queste si legge una domanda da parte di un certo “P. V.”, che oltre a minacciarlo di morte, si rivolge a lei dicendo: “Per una bustina di roba bianca qualcuno ti spara e ti uccide, cosa hai guadagnato tu? Senti allora, togliti di mezzo, stai a casa, fai il bravo”. Conviene con me, Dott. Troiano, che anche solo la legge 189/04, fortemente voluta da voi della LAV, potrebbe essere ad oggi, nell’elenco delle tante risposte da dare al “P.V.”? Quali importanti modifiche vengono apportate al Codice Penale grazie a questa legge?
- Sicuramente la 189/04 ha rappresentato una svolta importante nella tutela penale degli altri animali nel nostro Paese. Molti obiettivi e risultati investigativi sarebbero stati impensabili senza questa legge. Ovviamente è venuto il momento di perfezionarla, di apportare delle modifiche migliorative, di renderne l’applicazione più efficace. Per spiegare la portata innovativa rappresentata dalla 189/04 è opportuno ricordare la normativa previgente. Può sembrare strano, ma nel nostro sistema giuridico fino a dieci anni fa, ovvero al 2004 anno in cui è entrata in vigore la nuova normativa contro il maltrattamento, non esisteva alcuna norma, né sotto forma di precetto né di sanzione, che vietasse esplicitamente i combattimenti tra animali o le corse clandestine di cavalli. Se per le lotte tra animali vi era lo “spauracchio” giuridico della sanzione penale prevista per il maltrattamento degli animali, per le corse clandestine non vi era neanche quello: solo in caso di reale danno ai cavalli era ipotizzabile il maltrattamento. Non solo, anche laddove sussistevano i presupposti, le persone denunciate andavano incontro a un’impunità quasi certa, perché il reato previsto – l’articolo 727 del codice penale – era di natura contravvenzionale e poteva essere estinto con un’oblazione, si prescriveva al massimo in tre anni da quando era stato compiuto, non era configurabile la fattispecie penale dell’associazione per delinquere e non poteva essere punito a titolo di tentativo. Inoltre la pena era di massimo 10 milioni di vecchie lire. Solo ammenda, neanche arresto. La legge 189/04, anche se in fase di approvazione è stata depotenziata rispetto alla sua stesura originaria e per questo riteniamo sia da perfezionare in alcuni aspetti, con la sua portata innovativa ha rivoluzionato l’approccio giuridico al problema, istituendo il delitto di “organizzazione di combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali”. La nuova normativa, infatti, configurando la fattispecie “divieto di combattimenti fra animali” come delittuosa anziché come contravvenzionale, prevedendo la reclusione da uno a tre anni oltre la multa che può arrivare fino a 160.000 euro, disciplinando aumenti di pena in casi, ad esempio, di concorso di minori o di utilizzo di videoriproduzioni, punendo anche chi, fuori dal concorso nel reato, alleva, addestra o è proprietario di cani destinati alle lotte e ovviamente sanzionando chi effettua o organizza scommesse, ha posto le basi per una nuova azione di contrasto, più determinata ed efficace.

- Dottore, con il suo “Rapporto Zoomafia” pubblicato annualmente, è possibile tracciare sia territorialmente, sia temporalmente le funzioni ricoperte dagli animali nel sistema mafioso e le varie evoluzioni dei fenomeni riguardanti il nuovo volto del crimine. Cosa si evince, analizzando il “Rapporto Zoomafia 2014”?
 - Il nuovo Rapporto Zoomafia conferma la condotta trasformista e “infiltrante” delle organizzazioni criminali dedite ai traffici zoomafiosi capaci di trovare e inventarsi sempre nuovi canali di malaffare. Illegalità, malaffare, violenza: tutto a danno degli animali. I traffici legati allo sfruttamento degli animali rappresentano un’importante fonte di guadagno per i vari gruppi criminali che manifestano una spiccata capacità di trarre vantaggio da qualsiasi trasformazione del territorio e di guadagnare il massimo rischiando poco. La vendita illegale di uccelli è sicuramente meno rischiosa di altre attività illegali e garantisce guadagni di tutto rispetto. A livello internazionale, la criminalità organizzata dedita ai vari traffici a danno degli animali si distingue per la sua capacità di agire su scala internazionale, per il suo orientamento al business, per la capacità di massimizzare il profitto riducendo il rischio. Sono il simbolo, al pari delle altre mafie, della società globalizzata.
Il traffico di cuccioli rappresenta la prima emergenza zoomafiosa seguita dalle corse clandestine. Di contro, però, diminuiscono le azioni di contrasto alle corse clandestine di cavalli. Vi è ripresa virulenta dei combattimenti tra cani. Aumentano i traffici di animali rari e protetti.  “Cupola del bestiame”, macellazione clandestina, sofisticazioni alimentari restano pericoli costanti e vi è un allarme pesca illegale. Ancora, zoocriminalità minorile e diffusione web dei traffici di animali. Insomma, è un lungo catalogo di violenze organizzate, spesso sistematiche e seriali, che mietono migliaia di animali ogni anno, quello analizzato nel Rapporto Zoomafia 2014. Basti pensare che ogni ora nel nostro Paese si apre un procedimento penale per reati contro gli animali.

- Lei ha più volte detto, riferendosi al traffico illegale di cuccioli, “gli animali sono nostri amici, ed io non compro i miei amici”; oggi sempre più frequentemente molti voti noti, anche negli ambienti scientifici, sono inclini a riconoscere la cancerogenicità della carne intesa come alimento, primo tra tutti l’oncologo Veronesi, è possibile estendere la sua massima in questo modo, “gli animali sono nostri amici, ed io non compro e non mangio i miei amici”? Cosa si può fare per sensibilizzare maggiormente la gente, così che possa compiere una scelta alimentare di tipo etico e salutista?
- In realtà lo slogan originario è proprio “gli animali sono miei amici e io non mangio i miei amici”. La questione alimentare è una questione etica, si sa. Attraverso le proprie scelte si può salvare la vita di altri esseri viventi e contribuire al rispetto dell’ambiente, alla salvaguardia dei delicatissimi equilibri naturali e alla difesa di un’economia solidale. Sempre di più, però, la questione alimentare diventa anche un problema di sicurezza. In questa prospettiva etica e sicurezza si incrociano e diventano valori imprescindibili. Ogni sofisticazione alimentare di prodotti di origine animale che implica manipolazione alla natura biologica degli animali è un’offesa al loro benessere. Anche i “prodotti” adulterati di origine animale che non richiedono la loro uccisione, provengono da lunghe e silenziose sofferenze alle quali si aggiungono le adulterazioni. Le sofisticazioni si innestano in un sistema in cui la vita animale e quella umana hanno scarso valore: chi è disposto ad avvelenare le persone con “cibo” adulterato, non si preoccupa certamente della vita degli altri animali… Ovviamente non possiamo che consigliare di orientarsi verso un’alimentazione sana, anche sotto il profilo etico, e non cruenta.

- Prima della conclusione, di questa nostra, vorrei parlare delle sue passioni, la legalità, lo studio della filosofia e dell’antropologia criminale, l’amore per gli animali, e per i bambini. So che ha tenuto una serie di corsi nelle varie scuole del Paese, per sensibilizzare le nuove generazioni alla legalità. So anche che il suo amore verso i bambini va al di là del territorio nazionale stesso, con soventi viaggi verso il continente africano, anche al fine di far pervenire personalmente “aiuti umanitari” e cancelleria nelle scuole dei villaggi tanzaniani. Nel ringraziarla per la disponibilità e la cortesia dimostratami concedendomi quest’intervista, le chiedo un ultimo racconto; questa volta però non riguardante il lavoro, ma la sua vita privata, le sue vacanze, il tempo libero che dedica sempre e comunque alla solidarietà; le chiedo uno dei ricordi più belli a proposito dei suoi viaggi nella tanto cara e tanto amata Africa. 

- Sono una persona riservata e schiva nel parlare della mia vita privata e personale. I ricordi sono tanti, ma penso sempre a uno sguardo di un bambino. C’era l’infinito in quegli occhi, lo stesso del mio silenzio: io muto mentre cercavo la strada per le mie parole, come viandante smarrito, straniero in me stesso.




sabato 20 settembre 2014

PER IL BLOG... meravigliosa poesia regalatami dal caro amico Paolo Di Mizio


INTERPRETANDO L'AFRICA

di Lucia Mariano






Seduto per terra, circondato da calderoni nerissimi come la pece, tra terra rossa e cenere bianca,  un signore con uno stuzzicadenti in bocca,  vestito all’occidentale,  impugna un coltello e scuoia un galletto spennacchiato;  un tegame di metallo con la testa immobile della bestiolina e un secchio di plastica sporco di sangue e pieno di piume,  sono in bella mostra tra le sue gambe.  Una bambina sugli otto anni gli è davanti  e regge il corpo inerme di un secondo galletto, mentre l’uomo sorridendo lo svuota dalle interiora, un’altra è seduta proprio vicino a lui, è più piccola,  vestita con un abitino lucido di caldissimo poliestere, molto più grande della sua taglia, si rannicchia al fianco dell’uomo, cercando invano di nascondere la testa sotto il braccio di lui, mi guarda e piange;  io le sorrido e le dico dolcemente delle parole rassicuranti, ma lei non capisce il francese, conosce solo il morè, il dialetto del posto, allora mi allontano per tranquillizzarla e il signore mi spiega che la piccola ha paura di me, perché non sono di colore, perché la mia pelle è bianca, perché in quel posto, mai fino a quel giorno, l’uomo bianco ha messo piede.
Mi trovo nel villaggio di Pissilla, siamo otto “nassara” (uomini bianchi) di “Cuore Africa”, eseguiamo il primo sopralluogo nel campo incolto in cui, grazie ai fondi raccolti dall’associazione di Corrado Salmè, si costruirà un nuovo pozzo. Il capo del villaggio ci racconta, che ogni giorno le loro donne devono percorrere a piedi numerosi km, per arrivare in un villaggio vicino, riempire di acqua i contenitori e rientrare alle capanne sotto il sole rovente; ci dice che esiste sicuro l’acqua in quel posto, perché nei paraggi ne sono già stati scavati due, ma che appartengono ad altre comunità religiose, e che agli evangelici non danno da bere.


Ricordo perfettamente quanto quel giorno fosse particolarmente caldo, quanto l’aria ricca di pulviscolo rosso fosse pesante ed appiccicosa, quanto la completa mancanza di servizi igenici, e la presenza di una scrofa con i suoi maialini in un piccolo acquitrino pieno di mosche, non rendessero di certo meno difficile la nostra presenza in quel posto sperduto ed avvolto dalle cicatrici della terra brulla.
 

Ricordo ogni singolo abbraccio dato ai bambini, scalzi, e sporchi come non mai; ci volevano toccare, e noi missionari eravamo contenti che lo facessero; ricordo che mentre gli uomini parlavano del pozzo, io pensavo solo a loro, a quei piccoli, avrei voluto portarli via da lì, avrei voluto lavarli, vestirli, nutrirli uno ad uno; ricordo che durante la distribuzione delle caramelle, io ero come in una vertigine, avevo nel mio cuore un’esplosione di sentimenti contrastanti,  un paradossale mix perfetto di straordinaria onnipotenza e d’impotenza assoluta; ero fiera, orgogliosa di quello che stavo facendo; ma nello stesso tempo ero anche triste, angosciata, mortificata, perché non potevo fare di più, perché quei bambini che possedevano solo la miseria, la fame, e troppo spesso la morte, durante quel brevissimo tempo erano felici, e mi ripetevano in continuo, con la caramella ancora in bocca, “merci, merci…”, incuranti che finita la gioia del momento, sarebbero ritornati nella disgrazia e nell’inopia di tutti i loro giorni.

Questo è stato uno degli otto indimenticabili giorni trascorsi in Africa nel mese di dicembre,  giorni dalle tabelle di marcia pienissime in cui noi di Cuore Africa abbiamo distribuito cibo, vestiti, cancelleria, farmaci e sovvenzionato pienamente la costruzione del pozzo in Pisilla; giorni in cui ho avuto il privilegio di conoscere gente meravigliosa che non possiede davvero niente, ma che riesce a donare con cuore sincero tutto ciò che ha; mi riferisco all’ospitalità, all’affetto, al rispetto, ed alla gratitudine.

Una volta rientrata in Italia è stato difficile riprendere i ritmi normali, ho lasciato un pezzo del mio cuore nei villaggi sperduti del Burkina, non ho potuto dimenticare quel Paese e ho continuato a sostenere la missione; nel mese di gennaio, ho voluto adottare una bimba, si chiama Hawa, ha 8 anni, è bellissima, nel mio prossimo viaggio la rivedrò.

Custodirò sempre nel mio cuore gli occhi puliti del popolo burkinabè,  la fierezza delle loro donne, e soprattutto i sorrisi dei bambini; proteggerò il ricordo delle notti africane passate a danzare al ritmo dei tamburi in festa, il ricordo della vigilia del natale trascorsa con i bambini di Kaya, il ricordo della distribuzione del riso alle tante vedove.

Ogni notte, nel mio letto, avvolta dal silenzio buio, ripenso alla mia cara Africa,  risento le vocine dei bambini che ho lasciato lì, che non ho potuto portare con me, che non potrò mai portare con me, perché per il loro Stato non esistono; quei bambini sono ombre, veri angeli, vite di cui nessuno conosce l’esistenza; ripenso alle donne della “terra degli uomini liberi”, donne dai seni vuoti e dalle pance stanche, che non partoriscono la vita, ma la morte; che rassegnate, guardano impotenti i loro figli affamati, assetati, sporchi, e troppo spesso malati; ogni notte, il mio ultimo pensiero, tutto il mio affetto, la mia profonda stima, va a loro ed ai loro piccoli.


Il mio desiderio di riuscire a fare ogni giorno di più, di riuscire a far conoscere chi ancora non sa, di continuare a raccogliere aiuti, e di sensibilizzare il grande cuore di  noi Italiani, diventa, nel mio di cuore, sempre più profondo, perché sono certa che ognuno di noi possa fare davvero molto per quelle persone dimenticate da tutti.