Visualizzazione post con etichetta Umberto Trapi. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Umberto Trapi. Mostra tutti i post

sabato 20 settembre 2014

INTERPRETANDO L'AFRICA

di Lucia Mariano






Seduto per terra, circondato da calderoni nerissimi come la pece, tra terra rossa e cenere bianca,  un signore con uno stuzzicadenti in bocca,  vestito all’occidentale,  impugna un coltello e scuoia un galletto spennacchiato;  un tegame di metallo con la testa immobile della bestiolina e un secchio di plastica sporco di sangue e pieno di piume,  sono in bella mostra tra le sue gambe.  Una bambina sugli otto anni gli è davanti  e regge il corpo inerme di un secondo galletto, mentre l’uomo sorridendo lo svuota dalle interiora, un’altra è seduta proprio vicino a lui, è più piccola,  vestita con un abitino lucido di caldissimo poliestere, molto più grande della sua taglia, si rannicchia al fianco dell’uomo, cercando invano di nascondere la testa sotto il braccio di lui, mi guarda e piange;  io le sorrido e le dico dolcemente delle parole rassicuranti, ma lei non capisce il francese, conosce solo il morè, il dialetto del posto, allora mi allontano per tranquillizzarla e il signore mi spiega che la piccola ha paura di me, perché non sono di colore, perché la mia pelle è bianca, perché in quel posto, mai fino a quel giorno, l’uomo bianco ha messo piede.
Mi trovo nel villaggio di Pissilla, siamo otto “nassara” (uomini bianchi) di “Cuore Africa”, eseguiamo il primo sopralluogo nel campo incolto in cui, grazie ai fondi raccolti dall’associazione di Corrado Salmè, si costruirà un nuovo pozzo. Il capo del villaggio ci racconta, che ogni giorno le loro donne devono percorrere a piedi numerosi km, per arrivare in un villaggio vicino, riempire di acqua i contenitori e rientrare alle capanne sotto il sole rovente; ci dice che esiste sicuro l’acqua in quel posto, perché nei paraggi ne sono già stati scavati due, ma che appartengono ad altre comunità religiose, e che agli evangelici non danno da bere.


Ricordo perfettamente quanto quel giorno fosse particolarmente caldo, quanto l’aria ricca di pulviscolo rosso fosse pesante ed appiccicosa, quanto la completa mancanza di servizi igenici, e la presenza di una scrofa con i suoi maialini in un piccolo acquitrino pieno di mosche, non rendessero di certo meno difficile la nostra presenza in quel posto sperduto ed avvolto dalle cicatrici della terra brulla.
 

Ricordo ogni singolo abbraccio dato ai bambini, scalzi, e sporchi come non mai; ci volevano toccare, e noi missionari eravamo contenti che lo facessero; ricordo che mentre gli uomini parlavano del pozzo, io pensavo solo a loro, a quei piccoli, avrei voluto portarli via da lì, avrei voluto lavarli, vestirli, nutrirli uno ad uno; ricordo che durante la distribuzione delle caramelle, io ero come in una vertigine, avevo nel mio cuore un’esplosione di sentimenti contrastanti,  un paradossale mix perfetto di straordinaria onnipotenza e d’impotenza assoluta; ero fiera, orgogliosa di quello che stavo facendo; ma nello stesso tempo ero anche triste, angosciata, mortificata, perché non potevo fare di più, perché quei bambini che possedevano solo la miseria, la fame, e troppo spesso la morte, durante quel brevissimo tempo erano felici, e mi ripetevano in continuo, con la caramella ancora in bocca, “merci, merci…”, incuranti che finita la gioia del momento, sarebbero ritornati nella disgrazia e nell’inopia di tutti i loro giorni.

Questo è stato uno degli otto indimenticabili giorni trascorsi in Africa nel mese di dicembre,  giorni dalle tabelle di marcia pienissime in cui noi di Cuore Africa abbiamo distribuito cibo, vestiti, cancelleria, farmaci e sovvenzionato pienamente la costruzione del pozzo in Pisilla; giorni in cui ho avuto il privilegio di conoscere gente meravigliosa che non possiede davvero niente, ma che riesce a donare con cuore sincero tutto ciò che ha; mi riferisco all’ospitalità, all’affetto, al rispetto, ed alla gratitudine.

Una volta rientrata in Italia è stato difficile riprendere i ritmi normali, ho lasciato un pezzo del mio cuore nei villaggi sperduti del Burkina, non ho potuto dimenticare quel Paese e ho continuato a sostenere la missione; nel mese di gennaio, ho voluto adottare una bimba, si chiama Hawa, ha 8 anni, è bellissima, nel mio prossimo viaggio la rivedrò.

Custodirò sempre nel mio cuore gli occhi puliti del popolo burkinabè,  la fierezza delle loro donne, e soprattutto i sorrisi dei bambini; proteggerò il ricordo delle notti africane passate a danzare al ritmo dei tamburi in festa, il ricordo della vigilia del natale trascorsa con i bambini di Kaya, il ricordo della distribuzione del riso alle tante vedove.

Ogni notte, nel mio letto, avvolta dal silenzio buio, ripenso alla mia cara Africa,  risento le vocine dei bambini che ho lasciato lì, che non ho potuto portare con me, che non potrò mai portare con me, perché per il loro Stato non esistono; quei bambini sono ombre, veri angeli, vite di cui nessuno conosce l’esistenza; ripenso alle donne della “terra degli uomini liberi”, donne dai seni vuoti e dalle pance stanche, che non partoriscono la vita, ma la morte; che rassegnate, guardano impotenti i loro figli affamati, assetati, sporchi, e troppo spesso malati; ogni notte, il mio ultimo pensiero, tutto il mio affetto, la mia profonda stima, va a loro ed ai loro piccoli.


Il mio desiderio di riuscire a fare ogni giorno di più, di riuscire a far conoscere chi ancora non sa, di continuare a raccogliere aiuti, e di sensibilizzare il grande cuore di  noi Italiani, diventa, nel mio di cuore, sempre più profondo, perché sono certa che ognuno di noi possa fare davvero molto per quelle persone dimenticate da tutti.