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venerdì 25 maggio 2018

Filosofi e Impresa

 








Slides visionabili al seguente indirizzo:

https://prezi.com/wg6xgsc_pfgp/untitled-prezi/







Ringrazio il Corso di Laurea in Filosofia dell’Università del Salento per il gentile invito a partecipare all’odierno workshop.
Devo confessarvi che mai avrei pensato di partecipare a un evento così importante. Ne sono onorata e anche imbarazzata. Potrei dire, riprendendo giocosamente Michel De Montaigne: «Mi accade anche questo: che non mi trovo dove mi cerco; e mi trovo più per caso che per l’indagine del mio giudizio».
Per via del mio ambiente familiare, ho infatti a lungo creduto che avrei seguito le orme paterne e che avrei dedicato la mia vita all’imprenditoria. Ma nel tempo, la mia vera passione ha iniziato a farsi sentire con tale forza da indurmi ad affiancare al mio lavoro gli studi filosofici.
Quando ho iniziato ad avvicinarmi a questo mondo, non tutto mi era chiaro; anzi diversi suoi aspetti mi apparivano di difficile comprensione, e forse proprio per questo me ne sentivo così fortemente attratta.
Umberto Eco scrive del “piacere del come”, ovvero dell’appagamento derivante dalla conoscenza di mondi mai uguali, dall’analisi di problemi sempre diversi e quindi dalla tenacia nel superarli e nel superarsi.
Era quello a cui ambivo, fare mio il linguaggio, gli stili comunicativi, i concetti e i contenuti della filosofia.

Frattanto ho continuato a occuparmi di imprese e un paio di anni fa ho conosciuto la dott.ssa Marina Montefrancesco, una giovane donna dalla mente brillante, che, insieme alla sua famiglia, è alla guida di Valentino Caffè S.p.A., azienda leader nelle torrefazioni in Europa.
Anche se Valentino Caffè ha spento 70 candeline è un’azienda giovane, dinamica, aperta alle innovazioni e attenta a soddisfare anche le esigenze dei suoi clienti. Sin dalla sua fondazione ha costantemente fatto del riconoscimento del merito, dell’ecosostenibilità e del sostegno alla crescita del territorio i suoi principali punti di forza. In altri termini, Valentino ha ispirato le sue attività ai principi di responsabilità sociale d’impresa. Quando la dott.ssa Montefrancesco mi ha proposto di gestire il loro ufficio comunicazione mi sono trovata dinnanzi a una nuova sfida. Mi occupavo di comunicazione e di pubblicità già da anni e avevo tra l’altro organizzato e condotto diversi eventi culturali, alcuni anche molto impegnativi, come la presentazione del volume di Paolo di Mizio (già caporedattore centrale del Tg5) dedicato alla Storia di Giuseppe e del suo amico Gesù, edito da Marsilio. Mi chiedevo però quale potesse essere il mio specifico apporto di competenze e di conoscenze in una azienda di torrefazione visto che fino a quel momento il mio rapporto con il mondo del caffè si era limitato alla sua degustazione.
Poi mi sono ricordata della nota massima di Terenzio: “Uomo sono: nulla di ciò che è umano mi è estraneo” e ho quindi accettato con gioia l’offerta lavorativa. Da allora mi occupo di comunicazione per la Scuola di Valentino Caffè. Nello specifico redigo i comunicati stampa, realizzo le grafiche pubblicitarie, intervisto i docenti per il blog di Maestri Caffettieri, mi occupo della cura e della crescita dei social media, mi interesso delle questioni riguardanti la libertà di espressione nella rete, dell’utilizzo per fini commerciale di materiale digitale presente nel web, se non vincolato da diritto d’autore; infine, analizzo le tecniche e gli strumenti per definire i target di mercato e gli obiettivi da raggiungere.

Valentino Caffè è un’azienda che guarda con fiducia al futuro ed è in grado di rispondere alle esigenze derivanti dai processi di unificazione dei mercati a livello mondiale, alle aspettative della comunità sociale, al rispetto e alla tutela del territorio.

È interessante notare che per le aziende, in tempi di globalizzazione dei mercati e dei capitali, è diventato insufficiente limitarsi semplicemente a saper produrre le proprie merci. Il filosofo ed economista statunitense, Edward Freeman, sostiene che "per le imprese non è più tempo di fare solo soldi, ma di condividere il valore” (Repubblica 07/02/15).
Occorre con urgenza che esse sappiano sviluppare una responsabilità sociale sia interna (parità di retribuzione tra i sessi, gestione delle diversità, formazione durante tutta l’attività lavorativa, tutela della salute, sicurezza del lavoro) sia esterna (comunità locale, fornitori, consumatori, banche e assicurazioni), nonché ecologica ed etica. In esse, l’attività dello storico del pensiero diventa sempre più indispensabile. 

Del resto, l’Unione Europa ha insistito almeno dal 2001 sul tema della responsabilità sociale d’impresa, con la pubblicazione del cosiddetto Libro Verde. Altri interventi fondamentali sono seguiti negli anni successivi. Basti pensare che a partire dal 25/10/2011 la Commissione europea ha avviato “Una nuova strategia 2011-2014”, basata su una nuova definizione di responsabilità sociale d’impresa, ovvero della “responsabilità delle imprese per il loro impatto sulla società”, indicando, altresì, le buone pratiche da seguire affinché le imprese integrino nelle loro politiche aziendali le questioni sociali, ambientali ed etiche. 

Inoltre, il 25 settembre 2015, le Nazioni Unite hanno approvato l'Agenda Globale per lo sviluppo sostenibile. In cui si legge al punto 67: "L'attività imprenditoriale privata, gli investimenti e l'innovazioni rappresentano i motori principali della produttività, di una crescita economica inclusiva e della creazione di posti di lavoro. Riconosciamo la varietà del settore privato, che varia dalle microimprese alle cooperative, e alle multinazionali. Invitiamo tutte le imprese ad impiegare la loro creatività e la loro innovazione, al fine di trovare una soluzione alle sfide dello sviluppo sostenibile".

Il sociologo tedesco Gunther Teubner sostiene che l'impresa è un'istituzione economica della società, poiché essa è "[...] quella che considera sé stessa non come un sistema chiuso, separato dal resto della società, ma come una vera e propria istituzione che, in quanto tale, si fa carico delle esigenze della democrazia".

Valentino Caffè da anni ha fatto proprie le direttive dell’Unione Europea sopra citate. Non si è limitata a incentrare la propria visione d’impresa sull’idea di responsabilità sociale, intesa come teoria degli stakeholders, ma ha anche operato per agire a favore dell’alterità, sviluppando strategie imprenditoriali di carattere sociale.

Valentino Caffè è fortemente convinta che la formazione e la ricerca siano risorse indispensabili e che devono essere fruibili da tutti. Per tale motivo, già dal 2014 ospita nella sua sede, sita nella zona industriale del capoluogo salentino, la scuola di formazione professionale, Maestri Caffettieri. Inoltre, attraverso il costante supporto alle iniziative culturali organizzate dall’Università del Salento, intende contribuire, insieme all’ateneo salentino, allo sviluppo delle giovani menti e alla crescita culturale, economica e sociale della regione.
Infatti, Valentino Caffè, oltre alla sponsorhip dell’odierno workshop, “Professione filosofo”, è già stata sponsor ufficiale di una serie di importanti eventi organizzati dall’Unisalento, tra i quali va segnalato almeno il XLIV Convegno della AIFG - Associazione Italiana di Filologia germanica nel 2017. Valentino, rimanendo fedele alla sua visione di riconoscimento del merito, si adopera per la valorizzazione delle eccellenze salentine offrendo premi di studio ai ragazzi più meritevoli degli istituti alberghieri della provincia di Lecce. Ciclicamente, la Scuola Maestri Caffettieri, diretta dalla dott.ssa Montefrancesco, organizza giornate di studio, seminari e workshop avvalendosi di docenti particolarmente noti in campo internazionale, tra i quali si segnalano: Hidenori Izaki, (Campionato Modiale Baristi per l’anno 2014), Chiara Bergonzi (trainer ufficiale SCAE, vice campionessa mondiale di Latte Art 2014 e giudice internazionale di gare di Latte Art del circuito WCE) e Manuela Fensore (attuale campionessa Italiana di Latte Art, che rappresenterà l’Italia nella prossima competizione mondiale, che si terrà in Brasile nel mese di novembre prossimo).
Nella torrefazione Valentino Caffè è come se tutti fossero una grande famiglia. Infatti, ogni dipendente sente l’azienda come se fosse propria. Questi risultati certamente poco comuni sono il frutto della “visione d’impresa” che Gaetano Montefrancesco e il fratello Antonio Egidio hanno sviluppato con determinazione, con grande passione e con profondo impegno, dal 1948 ai giorni nostri. Nella nuova brochure di Valentino Caffè si racconta la storia dell’azienda a partire dalle sue origini e si legge: “all’avanguardia nella tradizione: nella vita dello stabilimento l’esperienza delle pratiche artigianali e il supporto delle più moderne tecnologie danno forza a un sistema di valori costruito intorno alle persone…”.
Avviandomi alla conclusione, devo ammettere che sono ancora oggi molto interessata alle questioni riguardanti la spendibilità della laurea in filosofia. A tale proposito, mi permetto di far notare come in molti articoli apparsi su prestigiosi quotidiani nazionali sembra prevalere la tendenza a mettere in luce il fatto che sempre più aziende sono inclini ad assumere giovani laureati in filosofia. Mentre, raramente si presenta il problema dalla prospettiva speculare e opposta: ovvero dal fatto che sempre più giovani laureati sono disposti a mettere a disposizione delle imprese il proprio sapere umanistico. Nessuno dice che se venisse meno una delle due componenti il sistema smetterebbe di funzionare. In altri termini, aziende e filosofi sono complementari e la loro cooperazione è vincente per superare l’apparente contraddizione tra lo spirito economico e lo spirito etico.
In base alla mia esperienza, posso dire che difficilmente il filosofo che presta la propria opera in una impresa sente il proprio lavoro come alienante. Anche in questi contesti, il filosofo è preparato a trovare risposte adeguate alle più svariate domande e non agisce per fini meramente utilitaristici. Egli è spesso in grado di suggerire le soluzioni dei problemi legati all’esercizio dell’etica di impresa proprio grazie alla sua formazione, che gli consente di collocare in un quadro globale le diverse questioni, di esaminarle con spirito critico tenendo conto del differente punto di vista dei diversi attori sociali in gioco.

Inoltre, credo che sia necessario sfatare la visione romantica del filosofo spontaneo, che periodicamente riaffiora nell’immaginario comune. Un noto economista, volendo tessere l’elogio della filosofia, scrive: “I Filosofi sono i funzionari che reggono le sorti della pubblica amministrazione, i giudici che danno giustizia, le maestre che insegnano ai bambini a vivere assieme e a guardarsi intorno con curiosità, gli insegnanti che insegnano italiano storia e matematica, i sindacalisti, i medici e gli infermieri, coloro che si occupano dei nostri vecchi”.
Credo invece che sia importante distinguere tra il bisogno di filosofare, comune a tutti gli uomini, e l’esercizio del pensiero critico da parte di chi si è formato agli studi filosofici. Lo storico delle idee, il filosofo, è colui che ha fatto proprio un metodo di analisi, di ricerca e di ragionamento scientifico, conseguito in anni di costante e approfondito studio delle discipline umanistiche, che gli hanno consentito di acquisire l’habitus di una figura professionale ben precisa.

Concludo perciò il mio intervento ringraziando le professoresse e i professori del Corso di Laurea in Filosofia dell’Università del Salento. Nel corso delle mie attività mi è capitato di incontrare diversi loro colleghi di altri atenei, di altri paesi: tutti conoscevano e stimavano moltissimo i “miei” docenti leccesi. Confesso di essermi inorgoglita per i riconoscimenti spontaneamente tributati da estranei ai miei professori, perché a loro devo molto, perché per me sono stati e sono ancora una guida.

Lucia Mariano



Giornata "Professione Filosofo" II edizione organizzata dal Corso di Laurea in Filosofia dell'Università Del Salento



domenica 2 novembre 2014

Intervista ad Ippolito Chiarello

Intervista ad Ippolito Chiarello     
 di Lucia Mariano




- Ippolito Chiarello, ha abituato il suo pubblico ad ammirarla nella grande plasticità e poliedricità nel ricoprire perfettamente più ruoli differenti, - attore, regista, formatore di talenti, non poco attento anche nei confronti dei disagi sociali – facendo propri oltre agli interessi cinematografici, anche quelli teatrali e musicali. Nasce nel cuore del sud, a Corsano, e nonostante i suoi lavori vadano anche ben oltre i confini nazionali, ha sempre custodito e tutelato un forte legame con l’amato Salento.  Di certo questa scelta, in un contesto sociale e geografico in cui le “fughe dei talenti” siano considerate l’ordinarietà, rappresenta, uno straordinario atto di coraggio. Ad oggi, dovendo redigere un suo personale bilancio su Ippolito Chiarello, Artista, quale risultato otterrebbe, cosa leggerebbe nell’attivo e cosa nel passivo?
Quando si stila un bilancio significa che siamo alla fine della storia, oppure, come penso io, i bilanci devono essere sempre fatti per capire cosa abbiamo fatto, gli errori, i punti di forza e quindi ripartire e magari cambiare strada totalmente. Nel mio percorso penso che tutto quello che ho fatto ha avuto senso, nel bene e nel male. Ho imparato molto e l’esperienza accumulata come uomo e come artista mi gratifica molto e sento di essere in ascolto per poter sempre imparare qualcosa. All’attivo ho una grande gioia, la possibilità di fare un lavoro che mi entusiasma e che mi fa vivere ogni giorno sempre con nuovi stimoli, nuovi incontri, nuove cose da fare. Non vivo il dramma della ripetizione. In passivo forse posso annoverare una vita privata “privata” di tutto quello che è la normalità. Ma non so se è un male questo.

- Ha lavorato con “Nasca Teatri di Terra”, un nuovo laboratorio artistico, un libero spazio aperto, che s'ispira in linea di principio al concetto di attore “ecosostenibile” e di ricerca culturale intesa nel senso più puro e profondo del termine; prima ancora con “Compagnia Koreja” di Lecce; ha inoltre creato un nuovo genere di  arte, caratterizzata da un legame intenso e diretto tra l’artista e il pubblico; mi riferisco al suo “Barbonaggio Teatrale”, da cosa è stato caratterizzato il suo percorso di ricerca, quali sono le tensioni verso cui è incline?
 - La mia ossessione e missione di artista e per la quale sono ormai noto alle cronache nazionali è il mio lavoro per creare un rapporto sentimentale con il pubblico dell’arte e del teatro in particolare.
Sono anni che cammino su strade parallele. Lo faccio non solo perché credo che tutto il sistema teatrale e dell'arte non abbia "visioni", ma perché credo che ogni epoca debba essere indagata e capita e quindi affrontata con nuovi mezzi e nuove modalità, non perdendo mai di vista il centro: l'edificio teatro e i luoghi deputati alle varie arti.
Lo faccio perché non credo che le soluzioni debbano essere lasciate solo nelle mani delle istituzioni.
Lo faccio perché sono convinto che manchi un anello fondamentale e fondante dell'arte: il pensiero sulla gente che diventa pubblico attivo di un processo e quindi finanziatore morale e materiale del mio lavoro.
In questi anni con la mia casa aperta dal 2006 diventata cinema e teatro, le residenze nei paesi sperduti e il BARBONAGGIO che è diventato movimento artistico concreto, ho costruito e continuo a costruire una garanzia e un motivo per il mio lavoro: un pubblico fedele che segue il mio percorso e, letteralmente, mi aiuta e finanzia la mia/sua ricerca in ambito artistico.
La strada, le case, i distributori, i supermercati, i pub, le librerie sono luoghi da frequentare come trincee per arrivare alle prime linee. Sono luoghi dove esercitare il nostro mestiere corpo a corpo per vincere una guerra e entrare tutti insieme nella città conquistata.
Sono luoghi dove allenare la gente a un linguaggio, dove portare altra gente a conoscere una pratica.
Il teatro però si deve fare a teatro ed è per questo che si deve sempre di più farlo anche fuori dal teatro.
Lo scarto è sapere che si esce dal teatro per riportare la gente a "casa".



- Dall’esperienza con Dario Fò a “Fanculo Pensiero Stanza 510” in ginocchio sul palco dei Negramaro per  "Casa 69 Tour”, cosa c’è nel mezzo?
 - Ci sono incontri, laboratori con centinaia di ragazzi e ragazze, il teatro a scuola. Ci sono le relazioni e l’impegno quotidiano onesto e profondo nel sociale, nelle carceri, nei luoghi del disagio. C’è lo studio e l’impegno con questo luogo importante che è anche la mia casa artistica l’AMMIRATO CULTURE HOUSE. Un luogo sostenuto dalla fondazione canadese MUSAGETES e che mette insieme una grande idea di lavoro in comune e di pratiche comuni. L’arte che agisce sulle trasformazioni delle comunità. Partire dal quartiere per arrivare al mondo. C’è una casa che è il mio nido e una terra, il Salento, una città Lecce che amo follemente e che mi proteggono ogni giorno.
  
- “L’amor perduto” è stato il tema di ricerca di “Ti racconto a Capo 2014” di cui lei è il direttore artistico; progetto che ancora una volta vede tra i protagonisti il meraviglio sud, i suoi abitanti, i giovani artisti italiani e stranieri desiderosi di  vivere una nuova esperienza culturale e formativa; mi chiedo se, alla fine della residenza estiva, “l’amor perduto” sia stato finalmente ritrovato.
 - E’ un ‘esperienza ogni anno entusiasmante, profonda, gioiosa, di lavoro duro e consapevole. 16 artisti che ormai vengono da tutte le parti del mondo per conoscere il mio lavoro. Un paese, Corsano, nel profondo sud, che partecipa ed è strumento del percorso artistico che ormai è arrivato alla quinta edizione. Un tema su cui confrontarsi. Quest’anno siamo stati travolti dall’AMOR PERDUTO. E’ stato un percorso che ha provato i nostri sentimenti e che ci ha messo finalmente davanti alla possibilità di ritornare ad usare le parole per dichiarare tutto ciò che ormai è diventato alibi virtuale. Io dico che l’abbiamo trovato. Ritrovato. Anche grazie all’aiuto dei racconti del corteggiamento antico, dei nostri nonni, che scrivevano lunghe e reiterate lettere alle proprie amate o amati. Una lezione di semplicità da cui ci siamo a fatica separati. L’anno prossimo il tema sarà IL VIAGGIO. Vi aspettiamo.



- In campo cinematografico, la sua principale attività è di interprete, basti pensare a “Fine pena mai”, “… a Levante”, e “Il venditore di medicine”;  pochi mesi fa, so che ha ricoperto il ruolo di Sindaco inLatin Lover” un film girato in Puglia da Cristina Comencini, e che presto vedremo nelle sale italiane, ci parli di questo nuovo lavoro, ci dia qualche anticipazione.
 - Nel cinema ormai ci passo un po’ di tempo e mi diverte molto. Si, quest’anno, oltre ad essere nelle sale con IL VENDITORE DI MEDICINE, LA SANTA, e CONTRORA con cui ho partecipato al Festival del cinema di Roma 2013, ho girato il film della Comencini LATIN LOVER con un cast stellare: VIRNA LISI, MARISA PAREDES, TONI BERTORELLI, NERI MARCORE’, ANGELA FINOCCHIARO, VALERIA BRUNI TEDESCHI, che dovrebbe uscire a febbraio 2015. In questo film ho interpretato il ruolo del sindaco di questo paese del sud che organizza per i dieci anni della morte di un concittadino attore famoso, una commemorazione con tanto di targa da scoprire davanti alla popolazione. Oltre a questo mi piace segnalare anche il mio film, che ho scritto insieme a Matteo Greco, che ne è anche il regista e che è una lettura poetica del mio progetto del Barbonaggio Teatrale. Il film si intitola OGNI VOLTA CHE PARLO CON ME ed è prodotto, oltre che da me, Matteo Greco e Kama, principalmente dal pubblico della strada e con il sostegno della Puglia Film Commission e della rete pugliese dei Teatri Abitati. Il film, che è stato girato in Italia e nelle principali capitali e città europee (CANNES, BARCELLONA, MADRID, PARIGI, LONDRA, BERLINO), lo potrete vedere presto anche a Lecce e che distribuiremo e faremo girare in tutto il territorio nazionale e all’estero.




- Nel suo prossimo futuro cosa ci sarà, quali saranno i nuovi progetti?
Il futuro è ricco di appuntamenti. A settembre ho debuttato al festival Start Up di Taranto con il mio nuovo spettacolo “PSYCHO KILLER quanto mi dai se ti uccido?”, con la regia di Michelangelo Campanale, che mi vede attore in scena accompagnato al sax dall’amico e ormai grande artista internazionale Raffaele Casarano e dall’altrettanto bravo Marco Bardoscia o Stefano Rielli al contrabbasso. Lo potrete vedere a Lecce ai Cantieri Teatrali Koreja il 10 gennaio 2015. Sono attualmente in prova nella nuova produzione della compagnia Factory LA BISBETICA DOMATA, in anteprima a Mesagne il 14 novembre e in prima nazionale a Lecce a Marzo 2015. Comincerà a novembre le prove per un Eduardo De Filippo, L’ABITO NUOVO con Marco Manchisi e la compagnia La luna nel letto, che debutterà a Bari a novembre 2015. Oltre questo naturalmente c’è la scuola di teatro dell’Ammirato, un progetto sul teatro dialettale in via Leuca a Lecce APE STORY, il progetto LAVORATRICI con la consigliera di parità della Provincia di Lecce Alessia Ferrei, che indaga con il teatro le problematiche femminili e i soprusi e la violenza nei luoghi di lavoro. E poi le tournée degli spettacoli che partirà da fine novembre e finirà a maggio. Oltre agli spettacoli già citati girerò ancora con Il Barbonaggio e il Film collegato, lo spettacolo FANCULOPENSIERO STANZA 510, Oggi Sposi e il Romeo e Giulietta sempre della Compagnia Factory che è giunto al terzo anno di repliche.




lunedì 29 settembre 2014

Intervista al Dott. Ciro Federico Troiano
di Lucia Mariano





 - Dottor Troiano, lei è considerato da molti come il precursore circa l’utilizzo e l’applicazione degli strumenti di interesse scientifico volti a studiare ed a prevenire, attraverso l’impiego di tecniche di contrasto i “nuovi volti del crimine”; è stato colui che ha dato vita ad una serie di termini e di concetti nuovi, ad esempio “la zoocriminalità minorile”, citata per la prima volta  nel 1999 in un suo volume; ed ha inoltre coniato il termine “Zoomafia”, quasi ripercorrendo le orme del pretore di Ravanusa, che nella “Relazione Damiani” del 1884, fa riferimento ad un “terzo tipo di mafia”. Ci spieghi cosa viene inteso con il neologismo “Zoomafia”?
 - La Relazione Damiani esaminava la situazione post unitaria delle classi agricole in Sicilia analizzando anche i soprusi che subivano i contadini e braccianti dai proprietari terrieri e dai campieri. La locuzione “Terzo tipo di mafia” faceva riferimento a unioni di persone non ben definite che si accordavano per realizzare profitti e interessi vari illegali. Ovviamente non c’è nessun rapporto o legame diretto con la zoomafia, però il concetto è lo stesso. Per zoomafia si intende lo sfruttamento degli animali per ragioni economiche, di controllo sociale e di dominio territoriale. Si tratta di uno sfruttamento criminale, ovvero perpetrato da persone singole o associate o appartenenti a cosche mafiose o a clan camorristici. Con questo neologismo, però -e qui vi può essere un legame con il concetto di “Terza mafia”-, indichiamo anche la nascita e lo sviluppo  di un mondo delinquenziale diverso, ma parallelo e contiguo a quello mafioso, di una nuova forma di criminalità, che pur gravitando nell’universo malavitoso e sviluppandosi dallo stesso humus socio-culturale, trova come motivo di nascita, aggregazione  e crescita, l’uso di animali per attività economico-criminali.  

- E’ sempre stato attivo non solo intellettualmente, ma anche in prima persona, lottando contro qualsiasi forma di sfruttamento criminale degli animali, e ha conferito una serie di premi, di riconoscimenti e menzioni importanti , “Miglior azione di conservazione”, “I cento Eroi mondiali dell’Ambiente”, “Premio San Francesco Città di Genova”, "Premio Agorà". Nel 1999 con la LAV, Lega Anti Vivisezione, ha fondato l’Osservatorio Nazionale Zoomafia di cui è responsabile; di cosa si interessa il suo Osservatorio?
- L’Osservatorio Nazionale Zoomafia è una struttura che rientra fra i sistemi di controllo informale della criminalità, finalizzata all’analisi criminologica –anche sotto il profilo economico-finanziario- dello sfruttamento degli animali da parte di organizzazioni criminali, gruppi organizzati o persone in concorso tra loro. Ci occupiamo delle varie forme di “maltrattamento organizzato”. Alcune tipologie di maltrattamento, infatti, sono intrinsecamente, ontologicamente consociative e trovano la loro consumazione solo sotto forma di evento programmato e organizzato. Esse richiedono la formazione preliminare dell’associazione senza la quale l’evento-maltrattamento non si può realizzare. Sotto questo aspetto, il sodalizio diventa il presupposto necessario per concretare il maltrattamento. Si pensi ai combattimenti tra animali, alle corse clandestine di cavalli, all’abigeato e traffico di fauna ecc. Nella nostra analisi rientrano anche fenomeni criminali come la zoocriminalità minorile, ovvero il coinvolgimento di bambini e minorenni in attività illegali che coinvolgono gli animali, e le violenze agite da minorenni nei riguardi di animali. Abbiamo da poco, ad esempio, concluso la somministrazione di un questionario a un campione di oltre 1000 ragazzi sulla violenza contro gli animali assistita o agita da preadolescenti e adolescenti nei riguardi di animali. I dati li stiamo esaminano e ci aiuteranno a capire un fenomeno ancora poco esplorato e a proporre profili di politica criminale. Ci interessiamo anche del fenomeno delle sette e delle forme di maltrattamento animali che comportano; della violenza di genere che vede svariati maltrattamenti ai danni degli animali della vittima umana che sono veri e propri eventi sentinella e prodromici di una violenza sempre crescente; della zooerastia e dello sfruttamento sessuale degli animali.
L’Osservatorio collabora con tutti gli organi di Polizia Giudiziaria e con la Magistratura. Sovente siamo chiamati a tenere corsi e lezioni nelle varie scuole delle forze di polizia.

- Ha insegnato, “tecniche di contrasto alla zoomafia” e “criminologia dei diritti animali” presso le scuole della Polizia, dei Carabinieri e della Forestale, redigendo numerosi saggi e articoli a riguardo. Nel suo libro, “Zoomafia - Mafia, Camorra & gli altri animali”, (Edizioni Cosmopolis), viene data al lettore la concreta possibilità di rendersi conto in maniera tangibile, di quanto sia ampio, importante e pericoloso il fenomeno criminale zoomafioso in Italia. In alcune pagine del suo libro, racconta delle non poche minacce e delle ripetute violenze ai danni della sua persona, subite a causa del suo lavoro; in una di queste si legge una domanda da parte di un certo “P. V.”, che oltre a minacciarlo di morte, si rivolge a lei dicendo: “Per una bustina di roba bianca qualcuno ti spara e ti uccide, cosa hai guadagnato tu? Senti allora, togliti di mezzo, stai a casa, fai il bravo”. Conviene con me, Dott. Troiano, che anche solo la legge 189/04, fortemente voluta da voi della LAV, potrebbe essere ad oggi, nell’elenco delle tante risposte da dare al “P.V.”? Quali importanti modifiche vengono apportate al Codice Penale grazie a questa legge?
- Sicuramente la 189/04 ha rappresentato una svolta importante nella tutela penale degli altri animali nel nostro Paese. Molti obiettivi e risultati investigativi sarebbero stati impensabili senza questa legge. Ovviamente è venuto il momento di perfezionarla, di apportare delle modifiche migliorative, di renderne l’applicazione più efficace. Per spiegare la portata innovativa rappresentata dalla 189/04 è opportuno ricordare la normativa previgente. Può sembrare strano, ma nel nostro sistema giuridico fino a dieci anni fa, ovvero al 2004 anno in cui è entrata in vigore la nuova normativa contro il maltrattamento, non esisteva alcuna norma, né sotto forma di precetto né di sanzione, che vietasse esplicitamente i combattimenti tra animali o le corse clandestine di cavalli. Se per le lotte tra animali vi era lo “spauracchio” giuridico della sanzione penale prevista per il maltrattamento degli animali, per le corse clandestine non vi era neanche quello: solo in caso di reale danno ai cavalli era ipotizzabile il maltrattamento. Non solo, anche laddove sussistevano i presupposti, le persone denunciate andavano incontro a un’impunità quasi certa, perché il reato previsto – l’articolo 727 del codice penale – era di natura contravvenzionale e poteva essere estinto con un’oblazione, si prescriveva al massimo in tre anni da quando era stato compiuto, non era configurabile la fattispecie penale dell’associazione per delinquere e non poteva essere punito a titolo di tentativo. Inoltre la pena era di massimo 10 milioni di vecchie lire. Solo ammenda, neanche arresto. La legge 189/04, anche se in fase di approvazione è stata depotenziata rispetto alla sua stesura originaria e per questo riteniamo sia da perfezionare in alcuni aspetti, con la sua portata innovativa ha rivoluzionato l’approccio giuridico al problema, istituendo il delitto di “organizzazione di combattimenti o competizioni non autorizzate tra animali”. La nuova normativa, infatti, configurando la fattispecie “divieto di combattimenti fra animali” come delittuosa anziché come contravvenzionale, prevedendo la reclusione da uno a tre anni oltre la multa che può arrivare fino a 160.000 euro, disciplinando aumenti di pena in casi, ad esempio, di concorso di minori o di utilizzo di videoriproduzioni, punendo anche chi, fuori dal concorso nel reato, alleva, addestra o è proprietario di cani destinati alle lotte e ovviamente sanzionando chi effettua o organizza scommesse, ha posto le basi per una nuova azione di contrasto, più determinata ed efficace.

- Dottore, con il suo “Rapporto Zoomafia” pubblicato annualmente, è possibile tracciare sia territorialmente, sia temporalmente le funzioni ricoperte dagli animali nel sistema mafioso e le varie evoluzioni dei fenomeni riguardanti il nuovo volto del crimine. Cosa si evince, analizzando il “Rapporto Zoomafia 2014”?
 - Il nuovo Rapporto Zoomafia conferma la condotta trasformista e “infiltrante” delle organizzazioni criminali dedite ai traffici zoomafiosi capaci di trovare e inventarsi sempre nuovi canali di malaffare. Illegalità, malaffare, violenza: tutto a danno degli animali. I traffici legati allo sfruttamento degli animali rappresentano un’importante fonte di guadagno per i vari gruppi criminali che manifestano una spiccata capacità di trarre vantaggio da qualsiasi trasformazione del territorio e di guadagnare il massimo rischiando poco. La vendita illegale di uccelli è sicuramente meno rischiosa di altre attività illegali e garantisce guadagni di tutto rispetto. A livello internazionale, la criminalità organizzata dedita ai vari traffici a danno degli animali si distingue per la sua capacità di agire su scala internazionale, per il suo orientamento al business, per la capacità di massimizzare il profitto riducendo il rischio. Sono il simbolo, al pari delle altre mafie, della società globalizzata.
Il traffico di cuccioli rappresenta la prima emergenza zoomafiosa seguita dalle corse clandestine. Di contro, però, diminuiscono le azioni di contrasto alle corse clandestine di cavalli. Vi è ripresa virulenta dei combattimenti tra cani. Aumentano i traffici di animali rari e protetti.  “Cupola del bestiame”, macellazione clandestina, sofisticazioni alimentari restano pericoli costanti e vi è un allarme pesca illegale. Ancora, zoocriminalità minorile e diffusione web dei traffici di animali. Insomma, è un lungo catalogo di violenze organizzate, spesso sistematiche e seriali, che mietono migliaia di animali ogni anno, quello analizzato nel Rapporto Zoomafia 2014. Basti pensare che ogni ora nel nostro Paese si apre un procedimento penale per reati contro gli animali.

- Lei ha più volte detto, riferendosi al traffico illegale di cuccioli, “gli animali sono nostri amici, ed io non compro i miei amici”; oggi sempre più frequentemente molti voti noti, anche negli ambienti scientifici, sono inclini a riconoscere la cancerogenicità della carne intesa come alimento, primo tra tutti l’oncologo Veronesi, è possibile estendere la sua massima in questo modo, “gli animali sono nostri amici, ed io non compro e non mangio i miei amici”? Cosa si può fare per sensibilizzare maggiormente la gente, così che possa compiere una scelta alimentare di tipo etico e salutista?
- In realtà lo slogan originario è proprio “gli animali sono miei amici e io non mangio i miei amici”. La questione alimentare è una questione etica, si sa. Attraverso le proprie scelte si può salvare la vita di altri esseri viventi e contribuire al rispetto dell’ambiente, alla salvaguardia dei delicatissimi equilibri naturali e alla difesa di un’economia solidale. Sempre di più, però, la questione alimentare diventa anche un problema di sicurezza. In questa prospettiva etica e sicurezza si incrociano e diventano valori imprescindibili. Ogni sofisticazione alimentare di prodotti di origine animale che implica manipolazione alla natura biologica degli animali è un’offesa al loro benessere. Anche i “prodotti” adulterati di origine animale che non richiedono la loro uccisione, provengono da lunghe e silenziose sofferenze alle quali si aggiungono le adulterazioni. Le sofisticazioni si innestano in un sistema in cui la vita animale e quella umana hanno scarso valore: chi è disposto ad avvelenare le persone con “cibo” adulterato, non si preoccupa certamente della vita degli altri animali… Ovviamente non possiamo che consigliare di orientarsi verso un’alimentazione sana, anche sotto il profilo etico, e non cruenta.

- Prima della conclusione, di questa nostra, vorrei parlare delle sue passioni, la legalità, lo studio della filosofia e dell’antropologia criminale, l’amore per gli animali, e per i bambini. So che ha tenuto una serie di corsi nelle varie scuole del Paese, per sensibilizzare le nuove generazioni alla legalità. So anche che il suo amore verso i bambini va al di là del territorio nazionale stesso, con soventi viaggi verso il continente africano, anche al fine di far pervenire personalmente “aiuti umanitari” e cancelleria nelle scuole dei villaggi tanzaniani. Nel ringraziarla per la disponibilità e la cortesia dimostratami concedendomi quest’intervista, le chiedo un ultimo racconto; questa volta però non riguardante il lavoro, ma la sua vita privata, le sue vacanze, il tempo libero che dedica sempre e comunque alla solidarietà; le chiedo uno dei ricordi più belli a proposito dei suoi viaggi nella tanto cara e tanto amata Africa. 

- Sono una persona riservata e schiva nel parlare della mia vita privata e personale. I ricordi sono tanti, ma penso sempre a uno sguardo di un bambino. C’era l’infinito in quegli occhi, lo stesso del mio silenzio: io muto mentre cercavo la strada per le mie parole, come viandante smarrito, straniero in me stesso.




sabato 20 settembre 2014

PER IL BLOG... meravigliosa poesia regalatami dal caro amico Paolo Di Mizio


INTERPRETANDO L'AFRICA

di Lucia Mariano






Seduto per terra, circondato da calderoni nerissimi come la pece, tra terra rossa e cenere bianca,  un signore con uno stuzzicadenti in bocca,  vestito all’occidentale,  impugna un coltello e scuoia un galletto spennacchiato;  un tegame di metallo con la testa immobile della bestiolina e un secchio di plastica sporco di sangue e pieno di piume,  sono in bella mostra tra le sue gambe.  Una bambina sugli otto anni gli è davanti  e regge il corpo inerme di un secondo galletto, mentre l’uomo sorridendo lo svuota dalle interiora, un’altra è seduta proprio vicino a lui, è più piccola,  vestita con un abitino lucido di caldissimo poliestere, molto più grande della sua taglia, si rannicchia al fianco dell’uomo, cercando invano di nascondere la testa sotto il braccio di lui, mi guarda e piange;  io le sorrido e le dico dolcemente delle parole rassicuranti, ma lei non capisce il francese, conosce solo il morè, il dialetto del posto, allora mi allontano per tranquillizzarla e il signore mi spiega che la piccola ha paura di me, perché non sono di colore, perché la mia pelle è bianca, perché in quel posto, mai fino a quel giorno, l’uomo bianco ha messo piede.
Mi trovo nel villaggio di Pissilla, siamo otto “nassara” (uomini bianchi) di “Cuore Africa”, eseguiamo il primo sopralluogo nel campo incolto in cui, grazie ai fondi raccolti dall’associazione di Corrado Salmè, si costruirà un nuovo pozzo. Il capo del villaggio ci racconta, che ogni giorno le loro donne devono percorrere a piedi numerosi km, per arrivare in un villaggio vicino, riempire di acqua i contenitori e rientrare alle capanne sotto il sole rovente; ci dice che esiste sicuro l’acqua in quel posto, perché nei paraggi ne sono già stati scavati due, ma che appartengono ad altre comunità religiose, e che agli evangelici non danno da bere.


Ricordo perfettamente quanto quel giorno fosse particolarmente caldo, quanto l’aria ricca di pulviscolo rosso fosse pesante ed appiccicosa, quanto la completa mancanza di servizi igenici, e la presenza di una scrofa con i suoi maialini in un piccolo acquitrino pieno di mosche, non rendessero di certo meno difficile la nostra presenza in quel posto sperduto ed avvolto dalle cicatrici della terra brulla.
 

Ricordo ogni singolo abbraccio dato ai bambini, scalzi, e sporchi come non mai; ci volevano toccare, e noi missionari eravamo contenti che lo facessero; ricordo che mentre gli uomini parlavano del pozzo, io pensavo solo a loro, a quei piccoli, avrei voluto portarli via da lì, avrei voluto lavarli, vestirli, nutrirli uno ad uno; ricordo che durante la distribuzione delle caramelle, io ero come in una vertigine, avevo nel mio cuore un’esplosione di sentimenti contrastanti,  un paradossale mix perfetto di straordinaria onnipotenza e d’impotenza assoluta; ero fiera, orgogliosa di quello che stavo facendo; ma nello stesso tempo ero anche triste, angosciata, mortificata, perché non potevo fare di più, perché quei bambini che possedevano solo la miseria, la fame, e troppo spesso la morte, durante quel brevissimo tempo erano felici, e mi ripetevano in continuo, con la caramella ancora in bocca, “merci, merci…”, incuranti che finita la gioia del momento, sarebbero ritornati nella disgrazia e nell’inopia di tutti i loro giorni.

Questo è stato uno degli otto indimenticabili giorni trascorsi in Africa nel mese di dicembre,  giorni dalle tabelle di marcia pienissime in cui noi di Cuore Africa abbiamo distribuito cibo, vestiti, cancelleria, farmaci e sovvenzionato pienamente la costruzione del pozzo in Pisilla; giorni in cui ho avuto il privilegio di conoscere gente meravigliosa che non possiede davvero niente, ma che riesce a donare con cuore sincero tutto ciò che ha; mi riferisco all’ospitalità, all’affetto, al rispetto, ed alla gratitudine.

Una volta rientrata in Italia è stato difficile riprendere i ritmi normali, ho lasciato un pezzo del mio cuore nei villaggi sperduti del Burkina, non ho potuto dimenticare quel Paese e ho continuato a sostenere la missione; nel mese di gennaio, ho voluto adottare una bimba, si chiama Hawa, ha 8 anni, è bellissima, nel mio prossimo viaggio la rivedrò.

Custodirò sempre nel mio cuore gli occhi puliti del popolo burkinabè,  la fierezza delle loro donne, e soprattutto i sorrisi dei bambini; proteggerò il ricordo delle notti africane passate a danzare al ritmo dei tamburi in festa, il ricordo della vigilia del natale trascorsa con i bambini di Kaya, il ricordo della distribuzione del riso alle tante vedove.

Ogni notte, nel mio letto, avvolta dal silenzio buio, ripenso alla mia cara Africa,  risento le vocine dei bambini che ho lasciato lì, che non ho potuto portare con me, che non potrò mai portare con me, perché per il loro Stato non esistono; quei bambini sono ombre, veri angeli, vite di cui nessuno conosce l’esistenza; ripenso alle donne della “terra degli uomini liberi”, donne dai seni vuoti e dalle pance stanche, che non partoriscono la vita, ma la morte; che rassegnate, guardano impotenti i loro figli affamati, assetati, sporchi, e troppo spesso malati; ogni notte, il mio ultimo pensiero, tutto il mio affetto, la mia profonda stima, va a loro ed ai loro piccoli.


Il mio desiderio di riuscire a fare ogni giorno di più, di riuscire a far conoscere chi ancora non sa, di continuare a raccogliere aiuti, e di sensibilizzare il grande cuore di  noi Italiani, diventa, nel mio di cuore, sempre più profondo, perché sono certa che ognuno di noi possa fare davvero molto per quelle persone dimenticate da tutti.