domenica 29 gennaio 2017

A scuola con il campione HIDENORI IZAKI World Barista Championship



Valentino Caffè Spa è lieta di ospitare Hidenori Izaki, il primo barista asiatico a vincere il prestigioso titolo del World Barista Championship tenutosi a Rimini nel 2014, per due giornate davvero speciali! 

Scegliete quella più adatta a voi tra: 

1 Febbraio ESPRESSO BASIC h. 10.00/18.00 
- Come preparare un ottimo espresso e come creare una ricetta 
- Calibrazione estrazione espresso: buono o cattivo? Come regolare il profilo gustativo 
- Tecnica montatura del latte e come ottenere feedback positivi dai clienti 

 2 Febbraio ESPRESSO MASTER h. 10.00/18.00 
- Il rifrattometro: cos'è e come si usa 
- Espresso Compass 
- Las scienza dell'acqua e la sua influenza sul gusto 
- Come formare i nuovi baristi e come creare un sistema di istruzione per loro 

 Info: maestricaffettieri@gmail.com

mercoledì 9 novembre 2016

Nel grande mare del web, in seguito agli ultimi fatti avvenuti in politica estera, abbondano commenti e giudizi personali non sempre concreti o coerenti. Nessuno si sente escluso o messo al margine, al contrario, percepiamo il nostro futuro legato in parte al futuro degli altri Paesi. Un tempo non molto lontano si parlava del brutto inteso come rovesciamento del bello, del brutto riconosciuto come necessità squisita per comprendere il bello. Oggi forse non sono la sola a leggere nel corso degli eventi l'attribuzione del pensiero rosenkranziano al contrario. In altre parole è probabile che stiamo guidando i nostri atteggiamenti mentali e i nostri atteggiamenti pratici verso un rovesciamento del rovesciamento, cioè verso la scelta del bello inteso non in quanto tale, ma come rovesciamento del brutto. Oggi il brutto non diventa bello, ma il bello diventa brutto. Sicuramente il sensus communis è garantito dall’assenza di concetti e dalla mancante comprensione dei veri fini. È come se si immaginasse un Angelus Novus che guarda al futuro, che ambisce al futuro, ma che è trattenuto da una tempesta infernale, che è schiacciato da un cumulo di rovine opprimenti e soffocanti. Dubito fortemente che possiamo fare dei nostri figli dei veri Pescatori di perle, capaci di cristallizzare anche solo piccoli frammenti di ciò che stiamo scegliendo per il loro domani. Stiamo scegliendo guerre, stiamo scegliendo chi promette più armi, chi promette innalzamento di muri. Spero tanto che anche noi Italiani non aggiungiamo del nostro, appoggiando e preferendo la limitazione della sovranità popolare attraverso le modifiche costituzionali, perché probabilmente otterremmo risultati peggiori di qualsiasi catastrofica previsione. Lucia Mariano

mercoledì 3 agosto 2016

L'importanza della misurazione nel "Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella Nuova"

Nel cielo di Padova, durante l’autunno del 1604, accade un avvenimento straordinario: appare una nuova stella luminosissima, perfettamente visibile a occhio nudo, la stella Nuova. Si tratta dell’esplosione nella nostra galassia, a circa 20.000 anni luce dalla terra, della Supernova 1604, conosciuta anche dagli astronomi come Supernova di Keplero, visibile nel continente europeo per circa diciotto mesi.
È un evento eccezionale che suscita un ampio e profondo interesse anche nel mondo accademico, perché la comparsa di un nuovo corpo celeste sembra negare il principio aristotelico dell’incorruttibilità dei cieli. Galileo Galilei, che dal 1592 è lettore di matematica all’Università di Padova, dedica all’argomento tre lezioni in cui illustra il fenomeno da un punto di vista scientifico, presentando i suoi calcoli relativi alle distanze dalla stella. Si interessa al nuovo fenomeno anche Cesare Cremonini, professore di filosofia nell’ateneo patavino, interprete dell’opera di Aristotele accusato di eresia per essersi lasciato sedurre dall’argomento della mortalità dell’anima. Non pochi studiosi sostengono che Cremonini sia in realtà Antonio Lorenzini, l’autore dell’opera intitolata Discorso intorno alla Nuova Stella nei confronti della quale si concentrano le successive polemiche. Sei settimane dopo la pubblicazione dell’opera di Lorenzini appare infatti il Dialogo de Cecco di Ronchitti da Bruzene in perpuosito de la stella Nuova, un testo scritto in dialetto pavano in cui sono presi in giro il filosofo Lorenzini e il suo Discorso, senza mai citarli direttamente. Subito corre voce che Cecco di Ronchitti da Bruzene sia uno pseudonimo usato da Galilei per firmare il suo lavoro. «Nessun Cecco aveva mai scritto queste cose: erano uscite dalle mani di Galilei e d’un suo allievo e amico, un benedettino di nome Girolamo Spinelli» . Bruzene è certamente l’attuale Brugine, un piccolo centro agricolo non distante da Padova denominato in veneto Brùxene . L’opera è dedicata al canonico del Duomo di Padova, Antonio Quarengo, nel testo chiamato «Squerengo» . Nel Dialogo, pubblicato a Padova nel 1605 e composto di appena 28 pagine, due contadini, Matteo e Natale, sono interessati alla comparsa della stella Nuova, perché pensano che possa essere la causa dell’aridità dei campi. I due si chiedono, rientrando dal lavoro, se oltre alla siccità, la stella Nuova non sia in grado di infondere altri effetti sulla terra. Uno dei contadini, Natale, aveva letto gli scritti di un letterato padovano, il filosofo Lorenzini, il quale affermava che la stella fosse in realtà qualcosa di posto al di sotto della luna e per questo non molto lontana dai campi destinati all’agricoltura. Secondo il paradigma aristotelico-tolemaico, al quale il filosofo Lorenzini faceva riferimento per sostenere le sue tesi, la collocazione della stella Nuova nel mondo sublunare non avrebbe compromesso il principio dell’immutabilità dei cieli, perché sotto la sfera della luna erano possibili modificazioni e mutamenti. Matteo chiede all’amico se il letterato, il «Filuorico» , fosse in grado di compiere misurazioni, perché queste sono le uniche in grado di permettere il rilevamento di certezze scientifiche. «La replica di Natale entrava allora nel vivo: il letterato, nel suo “librazzuolo”, aveva appunto detto che i matematici facevano misure ma nulla capivano. E non capivano nulla perché se dicevano che si aveva a che fare con una lontanissima stella nuova, allora diventava obbligatorio immaginare che il Cielo fosse sede di corruzione e generazione» . I matematici sapevano prendere le misure, ma non sempre sapevano trarne le necessarie conseguenze e conclusioni, perché anch’essi subivano i condizionamenti della filosofia scolastica e aristotelica, che li induceva a dedicare le loro speculazioni ad aspetti inerenti le essenze. Il registro comunicativo del Dialogo è molto diverso da quella adottato nelle tre lectiones tenute da Galilei a Padova, in cui furono presentate a un pubblico universitario di oltre mille persone misurazioni ed evidenze osservazionali, ricorrendo al linguaggio della scienza basato sulla rilevazione dei dati riguardanti lo svolgimento del fenomeno e sulla quantificazione. Nel Dialogo l’autore fa invece prendere la parola a due contadini privi di conoscenze scientifiche e che non possono non esprimersi in un linguaggio “vile”. A tal riguardo è interessante notare che sarà lo stesso Galilei, in una lettera inviata al frate benedettino Benedetto Castelli nel 1613 e poi ancora in un’altra lettera spedita due anni dopo a Madama Cristina di Lorena, a richiamare il «principio della subalternatio scientiarum in base al quale “una scienza inferiore ha bisogno di una scienza superiore”» , principio allora in auge nelle discussioni sul rapporto tra la teoria copernicana e le Sacre Scritture, per sottolineare la necessità di adattarsi all’incapacità del vulgo: «Onde, sì come nella Scrittura si trovano molte proposizioni le quali, quanto al nudo senso delle parole, hanno aspetto diverso dal vero, ma son poste in cotal guisa per accomodarsi all'incapacità del vulgo, così per quei pochi che meritano d'esser separati dalla plebe è necessario che i saggi espositori produchino i veri sensi, e n'additino le ragioni particolari per che siano sotto cotali parole stati profferiti» . Per Galilei le conoscenze sono acquisite attraverso i sensi: quindi in questo caso attraverso la vista e l’osservazione della stella Nuova, visibile sia ai contadini, sia ai filosofi e ai matematici. Ma le sole «sensate esperienze» non sono sufficienti, perché tutto deve essere tradotto in termini numerici, in quanto l’unica certezza valida è quella matematica. Infatti, lo scopo di Galilei è «liberare la verità scientifica da qualsiasi tipo di tutela che non sia il serrato e autonomo confronto tra “sensate esperienze” e “certe dimostrazioni”: questa è, per Galileo, e sopra ogni cosa, la vera posta in gioco» . Per Galilei non possono esistere qualità intrinseche nei corpi, perché ciò che riguarda la materia non può essere altro se non quantità. Nel capitolo quarantotto del Saggiatore, Galilei propone un’ipotesi per assurdo: presenta l’esempio di una mano che tocca prima un uomo e poi una statua, concludendo che il senso di “solletico” della mano non si produce per una qualità dell’oggetto esterno, ma del soggetto che si rapporta all’oggetto. Le qualità, le sensazioni, obbediscono ai soggetti e non agli oggetti, mentre gli oggetti sono passibili solo di rilevazioni di tipo quantitativo, e quindi numeriche: «tolti via gli orecchi, le lingue, e i nasi, restino bene le figure, i numeri, e i moti, mà non già gli odori, ne i sapori, ne i suoni, li quali fuor dell'animal viuente, non credo, che sieno altro, che nomi, come à punto altro, che nome non è il solletico, e la titillazione, rimosse l'ascelle, e la pelle intorno al naso» , e poi ancora, «auendo già veduto, come molte affezzioni, che sono riputate qualità risedenti ne' soggetti esterni, non anno veramente altra esistenza che in noi, e fuor di noi non sono altro, che nomi» . Nel Dialogo si nota chiaramente l’idea di scindere la filosofia dall’astronomia. Per Galilei la prima si occupa delle essenze, la seconda invece si interessa di conoscenze di tipo matematico. Le posizioni galileiane sono espresse nel Dialogo da Matteo: «i lettori del Dialogo erano in tal modo portati a cogliere il senso vero della disputa. Il nocciolo delle divergenze non stava tanto negli ambiti dell'astronomia propriamente detta, quanto nelle norme e nelle credenze consolidate che all'astronomia provenivano da una dominante visione filosofica che predicava sull'essenza del Cielo e delle stelle. Chi era culturalmente conscio dei rapporti tradizionali tra osservazione astronomica e metafisica coglieva immediatamente la portata e la profondità della frattura che Galilei disegnava per bocca di Matteo: ai matematici nulla doveva importare delle essenze o delle generazioni e corruzioni» . L’unico modo quindi per definire se si tratta di un corpo celeste o sublunare è di avvalersi dell’indagine quantitativa, e quindi compiere misurazioni. Santorio Santorio, pioniere delle misurazioni fisiche in medicina, amico di Galilei e primo a usare il suo «scherzino», il termometro da lui inventato , sostiene che si debba misurare tutto ciò che è presente nel nostro corpo. Fino a quel momento l’idea di quantità non faceva parte della ricerca scientifica, ma tutto era legato all’idea di qualità dei corpi, perché vigeva il paradigma aristotelico secondo il quale i corpi tendono verso il basso e verso l’alto in base alla loro qualità. Le misurazioni sulla terra non avevano alcun senso; anzi non era neppure possibile ottenerle perché l’unico luogo in cui era possibile applicare la matematica era il mondo celeste, che si riteneva non essere fatto dei quattro elementi propri della terra e del loro incessante aggregarsi e separarsi, ma si pensava che fosse composto di un’altra sostanza per definizione immutabile, non soggetta ad alterazioni, eterna e perfetta, cioè l’etere, chiamata anche quinta essenza . L’autore del Dialogo non manca di ridicolizzare i matematici del tempo, anch’essi condizionati dall’aristotelismo quando discettavano sulla stella Nuova, scoperta dall’astronomo Ilario Altobelli il nove di ottobre e vista come una fonte di luce variabile, di luminosità crescente, che nel corso di alcuni mesi scomparve completamente, lasciando tutto il mondo scientifico in difficoltà circa la sua classificazione. Nel Dialogo gli aristotelici sono accusati di fermarsi alle parole del maestro e di non voler vedere la realtà nella sua verità: «Che più vaneggi, o Stagirita stolto / che puro il cielo e ingenerabili credi? / Stella nova in lui fissa, il chiaro volto / discopre scintillando, e non la vedi?» . Come è noto, per Galilei è importante smontare il principio di autorità che riconosce la bontà delle conclusioni in base all’autorevolezza di chi le propone. «L’ipse dixit non ha diritto di accesso nella scienza, e ai suoi oppositori che si trincerano dietro le opinioni di Aristotele Galilei dice: “Venite pure con le ragioni e le dimostrazioni, vostre o di Aristotele, ma non con testi e nude autorità, perché i discorsi nostri hanno a essere intorno al mondo sensibile, e non sopra un mondo di carta”» . Quindi, la misurazione per Galilei è fondamentale ed è necessaria per avere verità non smentibili. Alexandre Koyré nel 1948 pubblicherà Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, un’opera in cui illustrerà il momento della nascita della scienza moderna, da lui rintracciato nell’introduzione del concetto di quantità, in altri termini nella capacità di astrarre dalle molteplici forme delle cose, cioè di convertire le cose più eterogenee in numero. Koyré, riprendendo le parole dello storico Lucien Febvre, scriverà: «duemila anni prima Pitagora aveva proclamato che il numero è l'essenza stessa delle cose, e la Bibbia aveva insegnato che Dio aveva fondato il mondo sopra "il numero, il peso, la misura". Tutti l'hanno ripetuto, nessuno l'ha creduto. Per lo meno, nessuno fino a Galileo l'ha preso sul serio» . Galilei nel Dialogo sostiene l’idea della correttezza del paradigma copernicano, al quale aveva dichiarato la sua adesione nel 1597, prima nel mese di maggio con una lettera inviata a Jacopo Mazzoni e poi ancora nel mese di agosto con un’altra lettera inviata a Keplero . In tal modo egli mette in crisi il precedente paradigma geocentrico fondato sull’Almagesto di Tolomeo, sul De Caelo di Aristotele e sulla loro lettura tomistica, imperniato sull’immutabilità e la perfezione della fisica del Cielo, posta in opposizione alla precarietà della fisica terrestre. Galilei cercherà di scardinare con forza anche maggiore il paradigma aristotelico-tolemaico nel suo Dialogo sui massimi sistemi del mondo, opera che lo porterà al processo del 1633: «Io non dirò altro, se non chè può essere che per la parte ch'io stimo vera non sieno state prodotte nè da Aristotele né da Tolomeo le vere e necessarie» . L’opposizione tra le due fisiche, terrestre e celeste, verrà completamente superata solo dalla fisica classica. Margherita Hack scriverà: «Siamo figli delle stelle: e non è una battuta! è letteralmente così. Siamo fatti di materia fusa all'interno degli astri» . L’eliminazione della disuguaglianza qualitativa tra cielo e terra avviene già con Galilei, il quale sostiene che cielo e terra sono fatti della stessa sostanza e che la pretesa dell’esistenza nei cieli di una sostanza eterea, leggera, cristallina qual era l’etere è una supposizione completamente infondata. Nel 1610, pochi mesi prima del suo ingresso nella prestigiosa Accademia dei Lincei, Galilei pubblica a Venezia il suo Sidereus Nuncius, nel quale illustra, anche con 5 acquerelli da lui disegnati e colorati, le osservazioni compiute puntando il telescopio verso i cieli e dichiarando che ciò che vale sulla terra vale quindi anche nei cieli e i cieli non sono affatto il mondo della perfezione: «la superficie della Luna non è affatto liscia, uniforme e di sfericità esattissima, come di essa Luna e degli altri corpi celesti una numerosa schiera di filosofi ha ritenuto, ma al contrario, disuguale» . Il cambiamento avvenuto con la fisica classica sarà caratterizzato anche dal ricorso al metodo sperimentale, cioè della necessità di avvalersi di osservazioni e di esperimenti: in altre parole, dalla prassi sperimentale introdotta pienamente con l’età moderna e la cui sequenza sarà compiutamente esplicitata da Claude Bernard nel 1865 . La vera «rivoluzione intellettuale», iniziata nell’annus mirabilis del 1543, con Copernico, definito da Shea: «un rivoluzionario prudente» e da Lutero: «un pazzo» , proseguita con Keplero, Galileo e Newton , si verifica secondo Koyrè quando «la precisione del cielo è scesa sulla terra» . Ciò accade anche quando, con movimento inverso, il concetto di quantità è usato in relazione ai corpi celesti ed è escluso ogni riferimento alle essenze, come avviene nelle lectiones patavine di Galilei, che misurano la stella Nuova, e nell’opera firmata da Cecco di Ronchitti da Bruzzene: «Anche se la materia costitutiva della stella fosse stata di polenta, notava infatti Matteo, nulla impediva di sottoporre il corpo celeste a operazioni atte a stabilire la sua vera posizione nello spazio. Solo questo contava». Lucia Mariano _____________________________________________________________________________________________ Bibliografia - AGNOLI P., Il senso della misura: la codifica della realtà tra filosofia, scienza ed esistenza umana, Armando, Roma 2004 - ARISTOTELE, De Caelo 1,3, Sansoni, 1962 - ARMOCIDA G.,Storia della medicina, Jaca Book, Milano 1993 - Atti, Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, 1880 - BELLONE E., La stella nuova: l’evoluzione e il caso Galilei, Einaudi, Torino 2003 - BERNARD C., Introduzione allo studio della medicina sperimentale, Feltrinelli, Milano 1973 - CAMBI F., GATTINI F., La scienza nella scuola e nel museo: percorsi di sperimentazione in classe e al museo, Armando Editore, Roma 2007 - DI TROCCHIO F., Il cammino della scienza. Successi, rischi, prospettive, Mondandori, Milano 2008 - Dizionario di toponomastica. Storia e significato dei nomi geografici italiani, Garzanti, Milano, 1996 - GALILEI G., I dialoghi di Galileo Galilei sui massimi sistemi tolemaico e copernicano, F. Vigo, Livorno 1874 - GALILEI G., Il saggiatore nel quale con bilancia esquisita e giusta si ponderano le cose contenute nella libra astronomica e filosofia di Lotario Sarsi Sigensano, Giacomo Mascardi, Roma 1623 - GALILEI G., Le lettere copernicane, a cura di M. Baldini, Armando, Roma 2008 - GALILEI G., Opere: 1, Unione tipografico-editrice torinese, Torino 1964 - GALILEI G., Scienza e Religione. Scritti copernicani, a cura di M. Bucciantini e M. Camerota, Donzelli editore, Roma 2009 - GALILEI G., Sensate esperienze e certe dimostrazioni: antologia,Lateranza, Roma 1966 - HACK M., RANZINI G., Tutto comincia dalle stelle, Sperling & Kupfer, 2011 - JOSE J., Stellar Explosions: Hydrodynamics and Nucleosynthesis, CRC Press, Boca Raton - London - New York 2016 - KOYRÉ A., Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione, Einaudi, Torino 2000 - KUHN T. S., SNEED J. D., STEGMÜLLER W., Paradigmi e rivoluzione nella scienza, Armando, Roma 2004 Le opere di Galileo Galilei: 2, Societa editrice fiorentina, Firenze 1843 - MACQUARRIE J., L'umiltà di Dio. Meditazione sul mistero della salvezza cristiana, Jaca Book, Milano1979 - MAMIANI M., Storia della scienza moderna, Laterza, Roma 2002 - ROSSI P., Storia della scienza moderna e contemporanea: Dalla rivoluzione scientifica all'età dei lumi, Utet, Torino 1998 - SHEA W. R., Copernico: un rivoluzionario prudente, Le scienze, Roma 2011 __________________________________________________________________________________________ Immagine: Ricostruzione a colori della supernova del 1604 http://chandra.harvard.edu/photo/2007/kepler/index.html

lunedì 14 dicembre 2015

Michael Yechiel Barilan (Tel Aviv University) all'Università del Salento per i "Dialoghi tra Filosofia & Medicina"

Il 14 dicembre presso l’aula Ferrari del palazzo Codacci Pisanelli, l’Università del Salento ha ospitato il professore Michael Yechiel Barilan, della Tel Aviv University, che ha tenuto una lezione dal titolo: “trasformazione del concetto di responsabilità nella medicina contemporanea”. La professoressa Alessandra Beccarisi, Presidente del Corso di Laurea in Filosofia, ha aperto i lavori, ricordando a tutti le parole dette dal Rettore Vincenzo Zara nel corso della recente conferenza di ateneo dedicata allo stato della ricerca dell’Università del Salento, a proposito della trasversalità dei saperi quale aspetto strategico capace di rendere un’università attraente e attrattiva. “La storia del professore Barilan è in questo senso esemplare, in quanto i suoi studi si muovono tra bioetica, medicina e legge, dimostrando (dice la professoressa Beccarisi) l’efficacia degli studi interdisciplinari e trasversali”. La lezione ha trattato il tema del cambiamento della nozione di responsabilità nella medicina dei nostri giorni. In particolare sono stati declinati i concetti di promessa, fiducia, economia della minaccia, diritti umani, consequenzialismo e accontability, intesa come l´obbligo per un soggetto di rendere conto delle proprie decisioni e di essere responsabile per i risultati conseguiti nei confronti del ricettore/paziente (triangolo della responsabilità). Inoltre, sono stati proposti non pochi riferimenti ai grandi filosofi del passato: ad Aristotele, a Kant, a Weber e, in particolare, a Nietzsche e al suo secondo saggio della Genealogia della morale. Sono seguiti gli interventi del professore Giovanni Scarafile, che ha dato spazio alle domande del pubblico presente in aula e della professoressa Laura Tundo, che ha ripercorso i punti salienti della lezione approfondendo soprattutto la questione del rischio del danno alla salute e degli aspetti legati alla medicina difensiva. Lucia Mariano.

sabato 12 dicembre 2015

"L'essere più prostituto è l'essere per eccellenza, è Dio"

"..La prostituzione è un fenomeno sociale che per Marx è da ricondurre al farsi del soggetto contrario di sé, al farsi diverso da sé (alienum facere). Secondo questa logica, per Baudelaire si potrebbe persino arrivare ad affermare che la prostituzione riguarda anche Dio, proprio perché diventa altro da sé e perché si realizza nelle sue creature: «Che cos’è l’amore? Bisogno di uscire da se stessi. L’uomo è un animale adoratore. Adorare è sacrificarsi e prostituirsi. Così ogni amore è prostituzione. L’essere più prostituito è l’essere per eccellenza, è Dio, perché è l’amico supremo di ogni individuo, perché è il serbatoio comune, inesauribile dell’amore» ..." Lucia Mariano
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mercoledì 2 dicembre 2015

I leccesi ce l'hanno più grande nel mondo: in piazza Sant'Oronzo sarà istallato un albero di natale alto 23 metri formato da sole luminarie.

Dopo aver saputo che Lecce è in vetta alle classifiche dell’albero di sole luminarie più grande del mondo, la mia giornata si riempie di senso. A noi piace così: illuminiamo un albero e spegniamo l’arte, spegniamo il Duomo e la Basilica. Ad ogni modo, sapere che i leccesi ce l’hanno più grande di tutti mi dà sicurezza, mi fa sentire bene, protetta, e mi riempie di gioia. Queste sono le vere cose per cui è importante primeggiare e farsi conoscere nel mondo. Poi, che il meraviglioso centro storico della città barocca sia continuamente violentato dallo smog e dal rumore dei mezzi di trasporto non è importante; avere le strade piene di buche non è importante; assistere impotenti alla morìa di piccioni (di cui tutti sappiamo, ma di cui nessuno parla) non è importante; stare attenti mentre si percorro le strade principali, non quelle nascoste e in periferia, ma proprio quelle più trafficate e più vissute, a non pestare ricordini puzzolenti non raccolti da incivili padroni dei cani a passeggio, o ancora peggio, stare attenti a non calpestare le siringhe abbandonate dai drogati, non è per niente importante. Non è nemmeno importante sapere che sempre più esercizi commerciali siano costretti a chiudere, non solamente per via della ormai famosa crisi economica, ma anche per le continue rapine e per i non pochi furti, che stando alle notizie dei giornali locali, subiscono quotidianamente; non è nemmeno importante sapere che sempre più famiglie abbiano bisogno di aiuti economici, alimentari e di sussidi, non per poter vivere, almeno per poter in qualche modo sopravvivere. E poi tantissime altre cose non sono importanti... Ciò che conta è che in questo Natale Lecce abbia l’albero più sbrilluccicante del mondo intero, perché la luce brilla nell’oscurità, abbaglia, acceca, e non fa vedere ciò di cui il buio è geloso custode e sciagurato sovrano. Lucia Mariano

lunedì 26 ottobre 2015

La nudità spaventa

Facebook è bigotto, patetico e vigliacco.
È pieno di spazzatura, di pornografia, di violenza e di idiozie che rimangono nei diari dei vari utenti per sempre.
Si preoccupa, però, di censurare una bellissima foto rappresentante una mamma con i suoi piccoli, nudi, beati e veri.
La verità è che abbiamo paura di mostrarci per quello che siamo, vogliamo sempre metterci in mostra e apparire. Indossando un paio di pezze, meglio se griffate, nascondiamo la nostra natura e ci sentiamo nobilitati, ci sentiamo degni di stare con i nostri simili. L’immagine reale di noi fa paura, viene allontanata e addirittura censurata.
Non c’è niente di più naturale di un corpo nudo, non c’è niente di più dolce e di più puro dell’abbraccio di una mamma, dal seno ancora grondante di latte, e i suoi cuccioli.
Questa foto, che è scomparsa dal mio diario e che ripropongo qui sul mio blog, è l’esaltazione della maternità.
È desolante appurare che la donna stretta nell'abbraccio con i suoi piccoli, nuda, senza nessun tipo di barriera, con il seno ricco di latte, nel 2015 faccia ancora paura.