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Realtà, indagini e approfondimenti a cura di Lucia Mariano
domenica 18 maggio 2025
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domenica 4 maggio 2025
Donald Trump vestito da Papa: un gesto disturbante che rivela il pericolo dell’egolatria nell’era dell’intelligenza artificiale
di LUCIA MARIANO
Sebbene alcuni abbiano tentato di derubricare l’immagine come uno scherzo, non si può ignorare la carica simbolica e ideologica dell’accostamento tra la figura papale — massima autorità spirituale del cattolicesimo — e quella di Trump, leader populista con tratti sempre più autoritari. Un uomo che si mette, letteralmente, nei panni del papa, in un momento di lutto globale, compie un gesto che sfiora la blasfemia.
Non si tratta solo di cattivo gusto. È un’esibizione di potere totalizzante: Trump non vuole solo essere leader politico, vuole essere profeta, padre, salvatore. È l’immaginario del leader carismatico-totalizzante, proprio delle derive fasciste del Novecento, che oggi si ripresenta in forma digitale.
Come scriveva Jean Baudrillard, nel postmoderno non c’è più distinzione tra reale e simulacro: un Trump vestito da papa, creato da una macchina, può avere effetti reali nel mondo — può orientare percezioni, consolidare un’identità narcisista, rafforzare un consenso già basato su simboli e paura.
Da un punto di vista psicologico, il gesto rivela tratti da narcisismo patologico: un’identificazione onnipotente con la figura più distante dalla propria storia e moralità, quella del pontefice. È una modalità classica dei soggetti con tratti narcisistici e antisociali: appropriarsi di simboli sacri per elevare sé stessi al di sopra della legge, della religione, della storia.
Lo psicoanalista Erich Fromm parlava di “egolatria” — l’adorazione del sé — come tratto tipico delle società malate di potere. In questo gesto, Trump non ridicolizza il papa: lo ingloba, lo supera, si fa oltre-papa. E in questo “oltre” c’è tutta la pericolosità di una politica che non riconosce più limiti.
Infine, la questione più grave: il ricorso sempre più spregiudicato all’intelligenza artificiale per costruire narrazioni visive potentissime, virali, difficilmente distinguibili dalla realtà. Se oggi un leader può fingersi papa con un clic, cosa impedirà domani a un dittatore di crearsi un passato, un martirio, un miracolo?
L’intelligenza artificiale usata così non è più uno strumento creativo, ma un’arma semiotica. E Trump lo sa: con quell’immagine si auto-incorona, si auto-canonizza, si rende immortale nella memoria collettiva.
La morte di Papa Francesco ha lasciato un vuoto profondo in milioni di persone. È stata la scomparsa non solo di un capo religioso, ma di un simbolo globale di tenerezza, giustizia sociale e pensiero critico. Un pontefice che ha saputo farsi amare anche da chi credente non era, grazie al suo messaggio inclusivo, umano, fragile.
In questo momento di dolore collettivo, un’immagine ha fatto il giro del mondo: Donald Trump, vestito da Papa, in abiti bianchi e mitria d’oro, con lo sguardo austero e le mani benedicenti. Un falso generato con intelligenza artificiale. Una caricatura digitale. Ma soprattutto: un messaggio politico.
Non è satira. Non è arte. È appropriazione.
Nel tempo breve che separa il lutto dalla ricostruzione della memoria, Trump ha violato uno spazio sacro, ha sovrapposto la sua immagine a quella del pontefice, iniettando la propria figura narcisistica nel cuore dell’immaginario spirituale del mondo. E lo ha fatto non con una dichiarazione ufficiale o con un gesto d’onore, ma con un travestimento grottesco, artefatto e inquietante. Una mossa apparentemente ironica che, in realtà, nasconde un progetto di dominio simbolico.
Il gesto di Trump va compreso nella cornice più ampia della sua estetica politica: non governare la realtà, ma manipolarne l’immagine. Trump è figlio di un tempo che non crede più nella verità oggettiva, ma solo nella potenza della percezione. Per questo, non si limita a parlare alla sua base: invade i sogni, si installa nei traumi, si traveste da salvatore, da re, da martire, da messia.
È il leader che assorbe ogni vuoto: quello lasciato dalla morte, dalla delusione, dalla crisi delle istituzioni. Dove crollano i simboli condivisi, Trump si impone come simbolo alternativo, ipertrofico, deformato, ma seducente. In questo senso, il suo “essere Papa” non è un meme: è una candidatura ontologica.
Sta dicendo: “Io sono tutto. Sono anche il sacro.”
C’è un’immagine antica e terribile che può aiutarci a capire meglio questo gesto: quella degli avvoltoi. Animali che non cacciano, non partecipano alla vita della preda, ma attendono che il corpo si raffreddi, che la carne inizi a disfarsi. Solo allora si avventano, con precisione chirurgica, divorando ciò che resta. Non celebrano la morte, ne fanno commercio. Non piangono il cadavere, lo consumano.
Donald Trump, con il suo “omaggio” ufficiale alla salma di Papa Francesco e poi con la diffusione dell’immagine di sé stesso vestito da pontefice, ha agito da avvoltoio politico. Ha atteso che il dolore si sedimentasse, che la figura reale del Papa si eclissasse nella memoria, per poi occupare lo spazio psichico lasciato vuoto. È un gesto che unisce opportunismo, profanazione e calcolo, tipico di chi trasforma ogni crisi in una vetrina per sé.
Questa non è solo estetica del potere. È necrofilia simbolica: l’attrazione per ciò che è morto, da usare come strumento per affermare il sé. In psicologia, è la tendenza a cercare controllo attraverso la distruzione, a trarre forza non dal confronto vivo con la realtà, ma dalla sua dissoluzione. Trump, da tempo, non combatte nella politica dei vivi, ma nella guerra delle ombre: si impone dove crollano i riferimenti, dove la verità è incerta, dove il trauma diventa breccia.
In questo senso, l’immagine di “Papa Trump” non è satira, è invasione: entra nel vuoto lasciato da un’autorità spirituale e lo riempie con la caricatura del potere assoluto. Si presenta non solo come leader, ma come profeta, santo, unto dal destino. Sostituisce la compassione del sacro con il culto del sé, la guida morale con la seduzione del narcisismo.
Questa dinamica è pericolosa perché agisce sul terreno dell’immaginario collettivo, quello più difficile da difendere. Non c’è legge che protegga dal simbolo profanato. Non c’è Corte Suprema che possa sanzionare un’immagine generata con l’AI, condivisa milioni di volte, sedimentata nei desideri di chi sogna un leader “totale”.
Vestirsi da Papa, fosse anche per gioco, significa cancellare la distinzione tra potere spirituale e potere politico. Significa mescolare, deliberatamente, ciò che la civiltà democratica ha separato per garantire la libertà: fede e governo, rivelazione e rappresentanza. In questo senso, il gesto è teocratico e insieme autoritario: suggerisce che un uomo, e solo uno, possa incarnare ogni autorità possibile, al di là del consenso, del diritto, della storia.
Per chi difende i principi laici, democratici e pluralisti, questo è un campanello d’allarme. Un gesto apparentemente ridicolo, ma profondamente tossico, perché dissolve le differenze, i limiti, le barriere che proteggono il cittadino dall’idolatria del leader.
Non basta indignarsi. Non basta ridere. Davanti a queste operazioni di saccheggio simbolico, bisognariconquistare lo spazio dell’immaginario. È necessario che la politica offra alternative di senso, figure reali di cura, giustizia e speranza. Deve difendere il tempo del lutto, della riflessione, della complessità, contro la propaganda dell’istante e dell’assoluto.
La politica non è solo programma, è anche mitologia viva. E se non la scriviamo noi, lo faranno altri, con Photoshop, con l’AI, con i meme e con la manipolazione del dolore collettivo.
La morte del Papa è stata un momento di silenzio. Trump lo ha riempito col rumore del suo ego. Tocca a noi, ora, riprenderci la parola.
Perché in un un mondo dove il potere si misura in visualizzazioni e il consenso è istantaneo, serve una risposta lucida, etica e culturale. Perché quando il potere diventa immagine e l’immagine diventa religione, la democrazia rischia di morire.
mercoledì 21 agosto 2024
LA DISUGUAGLIANZA DELL’EMPATIA
Le Tragedie Visibili e Invisibili nella Nostra Società
di Lucia Mariano

A tale proposito si potrebbe parlare di empatia selettiva, un concetto che si ricollega alle osservazioni di Adam Smith nella sua "Teoria dei sentimenti morali". Smith argomenta che la nostra capacità di simpatia - un termine che usava per descrivere quello che oggi chiamiamo empatia - non è universale ma limitata dalla nostra percezione della vicinanza e della somiglianza. Nella sua analisi, Smith evidenzia che tendiamo a provare una maggiore intensità di emozioni e sostegno per le vittime che percepiamo come più simili a noi o appartenenti a classi sociali elevate. Questo significa che la nostra empatia è spesso riservata a coloro che consideriamo più prossimi o affini, mentre le sofferenze di persone lontane o estranee, come i migranti, tendono a suscitare meno coinvolgimento emotivo. Questa selettività nella nostra risposta empatica contribuisce a una disconnessione tra le nostre emozioni e le reali necessità umanitarie. Tale selettività nella nostra empatia può creare una disconnessione tra il nostro stato emotivo e le reali necessità umanitarie. Di fronte a crisi che coinvolgono migranti o individui meno privilegiati, la nostra risposta emotiva può risultare superficiale o addirittura assente. La disconnessione, perciò, può ridurre la motivazione ad agire e a mobilitare risorse adeguate per le crisi meno visibili. Inoltre, la ripetizione di notizie tragiche e la mancanza di novità contribuiscono ulteriormente a questo fenomeno, diminuendo l’impatto emotivo e l’impegno verso le crisi meno mediatizzate. Quando si verificano naufragi come quello del veliero Bayesian, le risorse e le tecnologie disponibili per le operazioni di soccorso possono variare enormemente a seconda della visibilità mediatica e delle priorità politiche. Le tragedie che coinvolgono individui di alta classe sociale spesso ricevono una risposta più rapida e meglio equipaggiata, grazie all'accesso a tecnologie avanzate e infrastrutture adeguate. Al contrario, le crisi che riguardano migranti o persone meno privilegiate sono spesso affrontate con mezzi limitati e con una risposta più lenta, amplificando ulteriormente le disuguaglianze esistenti. Questa disparità nella risposta operativa riflette le stesse disuguaglianze che osserviamo nella nostra empatia e nella copertura mediatica.
Il fenomeno migratorio è un segnale di gravi ingiustizie globali e di crisi umanitaria che richiede una risposta urgente e concreta. Troppo poco viene fatto per affrontare le cause profonde dell'emigrazione forzata e per garantire che i migranti ricevano il supporto e la protezione di cui hanno disperatamente bisogno. Non è che il dolore per chi è ricco sia meno importante, ma dobbiamo riconoscere e affrontare il fatto che il dolore dei poveri e degli invisibili merita la stessa attenzione e compassione. Solo allargando la nostra empatia a tutti, senza distinzioni di status, e agendo con decisione per migliorare le condizioni di vita di chi è in difficoltà, possiamo aspirare a una società più giusta e umana. È tempo di rivedere le nostre priorità e garantire che ogni vita, indipendentemente dalla sua origine o posizione sociale, riceva il rispetto e la considerazione che merita.
Foto: ansa.it
venerdì 29 dicembre 2023
Maternità 'Cool' o Stereotipi Dannosi?
Riflessioni sulle Dichiarazioni della Senatrice Mennuni: Critiche, Prospettive di Genere e la Necessità di un Dialogo Inclusivo
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Lavinia Mennuni - ph Radio Colonna |
Nelle recenti dichiarazioni della Senatrice Lavinia Mennuni di Fratelli d'Italia, un acceso dibattito è stato innescato su questioni etiche, sociali e di genere, in particolare riguardo alla proposta di considerare la maternità come il culmine delle aspirazioni femminili.
La Senatrice, nel corso della trasmissione televisiva "Coffee Break" su La7, ha affermato: "La maternità deve diventare di nuovo cool. Dobbiamo fare sì che le ragazze di 18/20 anni vogliano sposarsi e vogliano mettere al mondo dei figli", sollevando una serie di preoccupazioni che meritano attenta riflessione.
In primo luogo, va sottolineato che la proposta della Senatrice Mennuni di elevare la maternità al vertice delle aspirazioni femminili sembra perpetuare stereotipi dannosi, limitando l'identità delle donne al ruolo di madre, trattandole quasi come mere incubatrici e trascurando la diversità delle loro aspirazioni e capacità. Inoltre, nel suo discorso, la Senatrice sembra concentrarsi unicamente sulle donne, trascurando il coinvolgimento degli uomini nel ruolo genitoriale, contribuendo così a rafforzare dinamiche di genere obsolete anziché promuovere un'equità più inclusiva.
Un rischio implicito nelle affermazioni della Senatrice è poi la possibile percezione che il valore di una donna sia legato intrinsecamente alla maternità, trascurando le numerose realizzazioni e contributi delle donne in ambiti diversi come carriere professionali, impegno sociale e creatività.
La focalizzazione discriminatoria sulla "precocità" di matrimoni e maternità solleva ulteriori preoccupazioni: limitare le opportunità educative e professionali delle donne può comportare gravi conseguenze sociali ed economiche, ignorando l'importanza dell'istruzione avanzata nel percorso di sviluppo personale e professionale delle donne.
La rappresentanza politica dovrebbe riflettere la diversità della società, promuovendo un ambiente inclusivo in cui le aspirazioni di ogni individuo, indipendentemente dal genere, sono rispettate e incoraggiate. Il dibattito suscitato dalle dichiarazioni della Senatrice Mennuni dovrebbe portare a una riflessione approfondita sulla necessità di promuovere una società basata sull'uguaglianza e sulla valorizzazione delle scelte individuali. Ogni persona dovrebbe godere del diritto di seguire un percorso in armonia con le proprie passioni e competenze.
© Lucia Mariano
domenica 24 dicembre 2023
Alba di stelle
O Custode del firmamento, danza con me
tra le note di un canto, nell'aria che intreccia i se…
Stelle cadenti, testimoni di un eterno momento,
dipingono il cielo di un blu soave, maestoso e lento.
Prego con la luce delle stelle, sfiorata dal vento,
che porti con sé dolci speranze, senza impedimento.
In questo cielo notturno, un mare di desideri si specchia,
come onde che accarezzano la riva, un amore che mai invecchia.
Nell'arco celeste, tra il giorno e la sera d'argento,
scrivo con la penna dell'anima, in un eterno accadimento.
Che la pace discenda, lieve come petalo di rosa,
coprendo il mondo di calore, come coperta amorosa.
Signore del tempo, custode dell'universo immenso,
guida i nostri passi in questo viaggio intenso.
Sii faro nei sentieri intricati della vita,
sciogli ogni nodo con la tua luce infinita.
Fa' che la melodia dell'armonia risuoni alta,
oltre l'orizzonte, dove i sogni si abbracciano alla ribalta.
Nel cuore di questa notte, nell'attimo eterno,
siano gli auguri di un Natale sereno, dolce e fraterno.
© Lucia Mariano
mercoledì 25 ottobre 2023
Il ciuffo tagliato
Il quarantaduenne il ciuffo tagliò,
In un gesto di forza l'identità sfogò.
In quei capelli virili la sua storia intrecciata,
Ma ora una nuova strada a lui è destinata.
Come Sansone, privato del suo vigore,
Scoprì nuove dimensioni e un mondo migliore.
Nel taglio dei capelli, il simbolo d'evoluzione,
Un cambiamento interiore, la trasformazione.
La virilità antica nei ricordi riposa,
Nel ciuffo, la potenza, ora è difficoltosa.
Liberato da stereotipi e da vecchie convinzioni,
Il quarantaduenne trova nuove visioni.
Lucia Mariano
mercoledì 18 ottobre 2023
Stimolare il Pensiero Profondo nei Figli: Il Potere dei 'Perché' e dei 'Cioè'
Ho deciso di riportare in auge questo gioco, di quando mia figlia era piccola, durante il nostro tragitto in auto, dopo una sessione di allenamento di karate. Lei ha condiviso un pensiero su una bottiglia d'acqua verde, ed ho iniziato con la domanda "perché." Questo ha scatenato una serie di domande e risposte che ci hanno portato ad esplorare argomenti che andavano dalla biologia alla teologia, dal significato della vita al concetto di rinuncia.
Se notate che il vostro figlio stia lottando per spiegare il "perché" di qualcosa, potete usare un piccolo trucco: ripetere l'ultima cosa che hanno detto e aggiungere la parola "cioè." Questo spesso li incoraggia a esprimere le loro idee in modo più dettagliato.
Ricordate che non è un nostro compito insegnare loro tutto, ma piuttosto nutrire la loro curiosità innata e aiutarli a sviluppare il pensiero critico. Questo gioco dei "perché" e dei "cioè" è una dimostrazione tangibile di come si possa costruire connessioni più profonde con i figli e promuovere la loro crescita intellettuale in modo creativo.
Questo stratagemma apre a un nuovo mondo di spiegazioni. Non è corretto ritenere che si debba trasmettere loro ogni conoscenza. In effetti, ricordo che un Ministro della Repubblica Italiana affermava la questione degli "imbuti"... La verità è che non si tratta di insegnare, ma di imparare da loro. Potrò sembrare forse eccessivamente socratica, ma credetemi, sono territori inesplorati, un tesoro da cui trarre abbondante ricchezza. Non dobbiamo impartire conoscenza, ma piuttosto far emergere quella che essi possiedono.
L. M.